teatro-san-carlo-internoIn materia di aliquote Iva, il n. 119) della Tabella A, parte terza, allegata al Dpr n. 633/1972, contenente l’elenco dei beni e servizi soggetti all’aliquota agevolata del 10%, menziona i “contratti di scrittura connessi con gli spettacoli teatrali”, rinviando indirettamente alle prestazioni contenute nel successivo n. 123) della stessa parte terza della tabella Iva che, nel suo insieme, elenca gli “spettacoli teatrali di qualsiasi tipo, compresi opere liriche, balletto, prosa, operetta, commedia musicale, rivista; concerti vocali e strumentali; attività circensi e dello spettacolo viaggiante, spettacoli di burattini e marionette ovunque tenuti” (v. anche, a tal fine, la normativa comunitaria di riferimento, attualmente contenuta nell’Allegato III alla direttiva 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, di rifusione del testo della sesta direttiva Iva n. 388/1977, che, al n. 7, richiama i “diritti d’ingresso a spettacoli, teatri, circhi, fiere, parchi di divertimento, concerti, musei, zoo, cinema, mostre e altre manifestazioni o istituti culturali simili” e, al successivo n. 9, contempla le “prestazioni di servizi fornite da o diritti da versare a scrittori, compositori e artisti interpreti”).
 

In relazione a tali disposizioni, con la sentenza 12280/2015, la Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla legittimità, o meno, di un avviso di accertamento, relativo al periodo d’imposta 2003, con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva contestato a una società, svolgente attività di produzione di spettacoli (scrittura degli artisti e di tutti i prestatori d’opera che concorrono alla realizzazione dello spettacolo), l’applicazione della suddetta aliquota Iva agevolata del 10% relativamente a talune fatture, da essa emesse, aventi a oggetto determinate vendite di eventi musicali (concerti) poste in essere nei confronti di imprese “organizzatrici” di spettacoli (rivenditrici al pubblico dei titoli d’ingresso relativi ai medesimi eventi).
 

Più in particolare, l’ufficio Iva competente – sulla scorta delle citate norme nazionali e comunitarie di riferimento – aveva ritenuto che le operazioni in esame avrebbero dovuto essere assoggettate all’aliquota Iva ordinaria (allora del 20%), e non già a quella agevolata, in quanto “…i contratti che avevano determinato le fatturazioni oggetto di contestazione, non avevano riguardato nessun rapporto diretto con lo spettatore, né un rapporto diretto con l’artista, per cuidoveva concludersi che a detti rapporti doveva applicarsi l’aliquota ordinaria del 20%”.
 

Investita della questione, nella sentenza in esame, la Corte ha ricordato, agli effetti della concreta definizione della fattispecie in contestazione, che già in passato l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 138/2001, ha affermato, in merito alla definizione dei “contratti di scrittura” da considerare soggetti all’aliquota agevolata, che “…l’aliquota I.V.A. nella misura del 10 per cento si applica a quegli accordi che hanno per oggetto prestazioni artistiche o tecniche direttamente strumentali alla realizzazioni degli spettacoli teatrali come individuati nel n.123 della citata tabella A, parte III, del D.P.R. n.633 del 1972”; con la successiva risoluzione n. 83/2004, inoltre, la stessa Agenzia ha ulteriormente puntualizzato, in via interpretativa, che i contratti di scrittura da considerare soggetti ad aliquota agevolata sono solo quelli direttamente connessi alle categorie riportate nella prima parte dell’elenco dello stesso n. 123), e cioè, appunto, ai soli “spettacoli teatrali di ogni tipo, compresi opere liriche, balletto, prosa, operetta, commedia musicale, rivista”.
 

Prendendo spunto da tali considerazioni, nel particolare caso dedotto in controversia, la Corte ha quindi dichiarato legittimi i rilevi mossi dall’Amministrazione finanziaria, ritenendo infatti che, per i rapporti contrattuali in esame, sia da ritenere oggettivamente esclusa l’applicabilità della previsione di cui al più volte citato n. 119) della Tabella, in quanto, nella specie, “…i contratti di scrittura non erano connessi a spettacoli teatrali…” (come da tale norma richiesto) “…ma a concerti vocali e musicali”; del pari, i giudici di legittimità hanno poi considerato inapplicabile, nella specie, anche la successiva disposizione del n. 123) della stessa Tabella (che elenca le attività di spettacolo, rese al pubblico, come disciplinate dall’articolo 74-quater dello stesso Dpr n. 633), dato che l’operazione formante oggetto di accertamento non era stata appunto resa direttamente nei confronti del pubblico, bensì in favore di un soggetto passivo d’imposta (come detto, la società organizzatrice dell’evento-successiva rivenditrice al pubblico dei biglietti di ingresso al concerto).
 

I giudici di legittimità, del resto, evidenziano che tale conclusione troverebbe conforto anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia europea (v. la sentenza n. C-109/02 del 23 ottobre 2003), con la quale i giudici sovranazionali hanno infatti chiarito, tra l’altro, che il sopra citato Allegato III alla direttiva Iva di rifusione, da cui – come detto all’inizio – trae origine la norma nazionale contenuta nel n. 123) della parte terza della Tabella Iva nazionale, “…fa riferimento al <diritto d’ingresso> a manifestazioni quali i concerti, ma nonalla prestazione del produttore che <vende> il concerto all’organizzatore…” (così come invece avvenuto nella fattispecie in controversia).
 

Da parte nostra, ci permettiamo di sollevare qualche dubbio in merito alle conclusioni cui perviene la sentenza in esame, sulla base di un duplice ordine di considerazioni. Sotto un primo profilo, infatti, se è pur vero da un lato che l’articolo 74-quater del Dpr n. 633/1972 disciplina i rapporti tra i soggetti organizzatori e il pubblico, dall’altro lato non pare, peraltro, che i suddetti nn. 119) e 123) della parte terza della Tabella Iva trovino limiti applicativi (di carattere soggettivo) nel dettato dello stesso articolo.

 

Sotto un secondo profilo, inoltre, la circostanza che tra gli spettacoli “teatrali” e quelli “musicali” di cui al citato n. 123) della Tabella ci sia un segno d’interpunzione – che peraltro non discrimina affatto l’applicazione dell’aliquota agevolata del 10% tra tali diverse categorie di spettacoli – non sembrerebbe legittimare un diverso trattamento di aliquota neppure per quel che concerne i rapporti “a monte” che intercorrono (come nel caso di specie) tra il soggetto organizzatore di tali spettacoli e i soggetti produttori dei medesimi.