La misura costituisce un parziale ristoro delle spese sostenute per il superfluo funzionamento dell’apparato giudiziario o per la vana erogazione delle risorse disponibili.
In tema di condanna alle spese di giustizia, il giudice che dichiara inammissibile o rigetta integralmente il ricorso del contribuente, dà atto che sussistono i presupposti per l’applicazione dell’articolo 13, comma 1-quater, del Dpr 115/2002, disponendo a suo carico l’obbligo del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la sua impugnazione. Lo ha affermato la Cassazione, con la sentenza 19432 del 30 settembre 2015.
I fatti
La controversia è relativa all’avviso di accertamento con il quale l’ufficio ha rideterminato il maggior reddito d’impresa di una Spa ai fini Iva, Irpeg e Irap per l’anno 2002, ritenendo omessi i ricavi derivanti dalla vendita di autovetture. In particolare, l’ufficio ha fondato la propria tesi sulla prassi ordinaria, secondo la quale i clienti chiedevano un finanziamento maggiore del prezzo di acquisto dei veicoli, sia nuovi che usati, rispetto al prezzo indicato nelle successive fatture (l’assoggettarsi, da parte degli acquirenti, a un maggiore aggravio di oneri per interessi avvalorava la presunzione di occultamento di maggiori ricavi). Inoltre, anche l’acquisto di alcune vetture da parte dell’amministratore della società appariva funzionale esclusivamente ad abbattere l’imponibile: l’uomo, infatti, in modo sistematico, sottraeva ai ricavi societari i relativi corrispettivi, cioè la differenza tra il prezzo di rivendita che lui stesso praticava ai terzi e il prezzo di acquisto corrisposto alla società.
In contenzioso, la Ctp ha respinto il ricorso della contribuente, ritenendo legittimo l’avviso di accertamento. La Commissione regionale ha in parte riformato la sentenza, giustificando solo la differenza riscontrata tra i dati della contabilità di magazzino e le giacenze verificate a campione. Per il resto, la Ctr ha rilevato che la contribuente non aveva supportato le proprie doglianze con prove idonee e che, invece, la pretesa tributaria risultava supportata anche dalle risposte fornite dai clienti ai questionari loro inviati dall’ufficio. Dalle dichiarazioni degli acquirenti, infatti, emergeva che i corrispettivi effettivamente versati per l’acquisto dei veicoli erano superiori a quelli indicati nelle fatture.
La società ha proposto ricorso per cassazione, lamentando molteplici vizi di motivazione della sentenza di secondo grado. La Corte ha respinto tutti i motivi di ricorso e ha affermato che, nella fattispecie al suo vaglio, sussistevano “i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17…”.
Osservazioni
Nella fattispecie esaminata, la Cassazione ha dato atto che ricorrevano le condizioni previste dall’articolo 1, comma 17, della legge 228/12 (Stabilità” 2013). Quest’ultima disposizione, in vigore dal 1° gennaio 2013, ha aggiunto all’articolo 13 del Dpr 115/2002 il comma 1–quater, prevedendo che la parte che ha proposto l’impugnazione, principale o incidentale, è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la sua impugnazione (articolo 13, comma 1-bis, Dpr 115/2002), se quest’ultima è stata respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile.
La norma dispone, altresì, al suo secondo periodo, che il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale, inammissibilità o improcedibilità) previsti dal primo periodo e che, al momento del deposito dello stesso provvedimento, sorge l’obbligo di pagamento. Il rilevamento della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo costituisce un atto dovuto, imposto dalla legge al giudice che definisce la vertenza. Tale giudice non può e non deve operare ulteriori valutazioni discrezionali o declaratorie di sorta, visto che il riscontro della sussistenza dei presupposti è un fatto insuscettibile di diversa estimazione.
Il loro accertamento, infatti, scaturisce dalla mera presa d’atto del rigetto integrale o dalla definizione in rito del gravame (Cassazione, pronuncia 10306/2014) e non è legato in alcun modo alla condanna alle spese (il pagamento del contributo doppio è dovuto anche se le spese di lite vengono compensate ex articolo 92 cpc – Cassazione, pronuncia 12034/2014). Si tratta, infatti, di un’automatica conseguenza sfavorevole per l’inutile esercizio del diritto di impugnazione o per procedimenti assoggettati a contributo unificato. Proprio perché l’impegno di risorse processuali non ha avuto esito positivo per il ricorrente (il provvedimento impugnato, infatti, è rimasto confermato o non alterato), la previsione del raddoppio del contributo costituisce un parziale ristoro dei costi per il vano funzionamento dell’apparato giudiziario o per la vana erogazione delle risorse a sua disposizione (Cassazione, pronuncia 5955/2014).
Dopo aver dato atto della sussistenza dei presupposti richiesti dal legislatore, la Corte ha altresì verificato l’applicabilità temporale dell’articolo 13, comma 1–quater, del Dpr 115/2002, alla fattispecie sottoposta al suo esame. Poiché la disposizione citata disciplina i procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della Stabilità 2013 (articolo 1, comma 18, legge 228/2012), dopo aver dato atto che il giudizio di legittimità controverso era iniziato successivamente al 30 gennaio 2013, la Corte ha concluso in senso positivo.
Al riguardo, i giudici di piazza Cavour (sezioni unite, sentenza 3774/2014) hanno precisato che, per stabilire la data di inizio del giudizio, si deve aver riguardo, secondo i principi generali in tema di litispendenza, al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario. L’articolo 13, infatti, postula esclusivamente l’avvenuta notifica del ricorso per cassazione quale atto che, determinando l’instaurazione del rapporto processuale, dà inizio al procedimento di impugnazione, senza che assumano rilevanza l’omessa iscrizione a ruolo della causa o il mancato deposito dell’atto di impugnazione (Cassazione, sentenza 6280/2015) ovvero la data in cui la notifica del ricorso è stata richiesta all’ufficiale giudiziario o il plico è stato spedito a mezzo del servizio postale secondo la procedura ex legge 53/1994 (Cassazione, sezioni unite, pronuncia 3774/2014).