Una cifra spaventosa: 19 miliardi di euro all’anno. A tanto ammonta, secondo l’Ufficio studi della CGIA, la spesa degli italiani in attività illegali.
In particolar modo per l’uso di sostanze stupefacenti (14,3 miliardi), per i servizi di prostituzione (4 miliardi) e per il contrabbando di sigarette (600 milioni di euro). Un’economia, quella ascrivibile alle attività illegali, che non conosce crisi: l’ultimo dato disponibile (2015) ci segnala che il valore aggiunto di queste attività fuorilegge (17,1 miliardi di euro) è aumentato negli ultimi 4 anni di oltre 4 punti percentuali.
“Lungi dall’esprimere alcun giudizio etico – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – è comunque deplorevole che gli italiani spendano per beni e servizi illegali più di un punto di Pil all’anno. L’ingente giro d’affari che questa economia produce, costringe tutta la comunità a farsi carico di un costo sociale altrettanto elevato. Senza contare che il degrado urbano, l’insicurezza, il disagio sociale e i problemi di ordine pubblico provocati da queste attività hanno effetti molto negativi sulla qualità della vita dei cittadini e degli operatori economici che vivono e operano nelle zone interessate dalla presenza di queste manifestazioni criminali”.
“Tra le attività illegali – asserisce il Segretario della CGIA Renato Mason – l’Istat include solo le transazioni illecite in cui c’è un accordo volontario tra le parti, come il traffico di droga, la prostituzione e il contrabbando di sigarette e non, ad esempio, i proventi da furti, rapine, estorsioni, usura, etc. Una metodologia, quest’ultima, molto discutibile che è stata suggerita dall’agenzia statistica della Comunità europea che, infatti, ha scatenato durissime contestazioni da parte di molti economisti che, giustamente, ritengono sia stato inopportuno aumentare il reddito nazionale attraverso l’inclusione del giro di affari delle organizzazioni criminali”.
L’elevata dimensione economica generata dalle attività controllate dalle organizzazioni criminali trova una conferma indiretta anche dal numero di segnalazioni pervenute in questi ultimi anni all’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia. Stiamo parlando di operazioni sospette “denunciate” a questa struttura di via Nazionale da parte di intermediari finanziari (per circa l’80 per cento banche e uffici postali, ma anche liberi professionisti, società finanziarie o assicurazioni).
In allegato lo studio completo della CGIA Mestre.