Matteo Renzi pare deciso ad andare fino in fondo, a prescindere dalle recenti resistenze dei diretti interessati testimoniate, anzitutto, dalle polemiche sollevate dal numero uno di Ferrovie dello Stato,Mauro Moretti, in merito all’ipotesi di vedersi ridotto lo stipendio (si ricorderà che ha “minacciato” di andarsene a lavorare all’estero); ebbene, i tagli ai manager pubblici ci saranno, anche se non è ancora del tutto chiaro in che termini.
Quel che è certo, è che dal primo aprile entrerà in vigore una norma voluta dall’ex ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, e che prevede sforbiciate ai tetti dei dirigenti a seconda dalla categoria all’interno della quale sono stati collocati. Quelli maggiormente penalizzati saranno gli amministratori delle controllate dal ministero dell’Economia non quotate o che non emettono strumenti finanziari quotati sui mercati regolamentati; queste aziende sono, poi, divise a loro volta in diverse sottocategorie, alla prima della quali appartengono le più importanti (Anas, Rai), ovvero quelle di prima fascia.
Per i loro dirigenti, il tetto massimo reddituale non potrà superare quello del primo presidente della Cassazione. Non potranno, quindi, percepire un reddito superiore ai 311mila euro annui. I dirigenti delle aziende di seconda fascia, invece, non potranno percepire stipendi superiori all’80 per cento di quelli della prima, ovvero a 248.800 euro. Segue la terza fascia, con tetto al 60 per cento, ovvero a186.600 euro lordi. Sugli emolumenti dei dirigenti delle aziende quotate come Eni, Enel, Finmeccanica o Poste, si parla, invece, di un taglio del 25 per cento. Non sarà un dramma, se si considera che, ad esempio, l’ad di Eni, Paolo Scaroni, percepisce un reddito di 6,52 milioni di euro lordi annui.
FONTE: CGIA Mestre