scudo fiscaleIl beneficio dell’immunità penale è concesso, dall’ordinamento italiano, soltanto per i reati ascritti agli articoli da 2 a 5 del Dlgs 74/2000 e non anche per tutta la gamma di reati, per i quali, anche se compiuti con capitali rientrati dall’estero per mezzo dello “scudo fiscale”, è prevista la dovuta pena.

 

Ciò è quanto ha deciso, con la sentenza n. 49191 del 14 dicembre 2015, la sezione penale della Corte di cassazione, chiamata a giudicare in merito al mancato accoglimento, da parte di un tribunale, della richiesta di riesame presentata da una persona colpevole del reato di frode fiscale, a cui erano state sequestrate, preventivamente dal giudice delle indagini preliminari, ingenti somme di denaro depositate su conti correnti intestati a società fiduciarie.
Gli inquirenti avevano scoperto un articolato meccanismo di società fiduciarie costituite allo scopo di far rientrare, fraudolentemente, ingenti capitali (intorno agli 8,5 milioni di euro) trasferite da clienti italiani nella Repubblica di San Marino, a seguito dell’entrata in vigore del Dlgs 231/2007, che impone l’obbligo di indicare il titolare effettivo del patrimonio.

 

L’imputato, a tal fine, aveva costituito, in concorso con altre persone, un reticolo di società aventi sede legale a San Marino (che, ricordiamo, essere oggi uno Stato collaborativo e trasparente per quanto concerne questioni fiscali con l’Italia) e in altri Paesi non cooperanti, con lo scopo di far rientrare in patria grandi somme di denaro per mezzo di società fiduciarie con sede a Roma.

 

L’impianto fraudolento veniva utilizzato dalla clientela italiana dell’imputato per disporre del denaro esportato, evitando gli obblighi imposti dal Dlgs 231/2007 grazie a un sistema di schermi fiduciari. Avverso il diniego di annullamento del sequestro di denaro da parte del tribunale competente, il contribuente, per mezzo del proprio difensore, aveva presentato ricorso in Cassazione adducendo, tra le motivazioni, che le somme oggetto della misura cautelare preventiva, erano state già sottoposte allo “scudo fiscale-ter” per il tramite della società fiduciaria italiana.

 

Secondo il ricorrente, la procedura di emersione era stata regolarmente compiuta e perfezionata con il pagamento degli importi in favore dell’Erario da parte dell’intermediario incaricato e l’adesione allo “scudo fiscale-ter” (articolo 13-bis del Dl 78/2009) non poteva considerarsi attività di occultamento volta a consentire il riciclaggio, essendo, al contrario, pratica di emersione e regolarizzazione delle somme mediante adesione a una legge dello Stato.

 

Inoltre, i giudici di merito, nel provvedimento impugnato, secondo la difesa dell’imputato, non avevano correttamente valutato i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum libertatis, necessari per la legittima applicazione della misura cautelare del sequestro e che sarebbero dovuti essere considerati del tutto insussistenti.

 

La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, dichiarando l’inammissibilità del ricorso presentato dal reo, ha chiarito che i giudici di merito, per valutare la sussistenza degli elementi essenziali per l’applicazione delle misure cautelari, non devano accertare la ricorrenza della gravità degli indizi di colpevolezza, ma soltanto evincere la concretezza degli elementi stessi (cfrCassazione, sezione penale, nn. 5656 e 47686 del 2014).

 

Per quanto concerne le somme di denaro oggetto dello “scudo fiscale-ter”, la Cassazione è già intervenuta in precedenza (cfr sentenza 28724/2011) chiarendo che la non punibilità prevista dalla disciplina in questione riguarda solamente le condotte afferenti le somme che dall’estero rientrano in Italia.

 

Come è noto, l’articolo 13 del Dl 78/2009 stabilisce una misura incentivante per il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato. In sostanza, con il pagamento di un’imposta straordinaria su un rendimento lordo presunto del capitale e con un’aliquota comprensiva di interessi e sanzioni, viene accordato il beneficio della “sterilizzazione del capitale” rimpatriato, che non può costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente (ad esempio, in quanto rivelatore di capacità contributiva), nonché l’esonero dall’obbligo di segnalazione di cui al Dlgs 131/2007, articolo 41, e altri effetti premiali, tra cui l’esclusione della punibilità per alcuni reati fiscali.

 

Tale impunibilità, sostiene la Corte suprema, va intesa in termini fortemente restrittivi e riferiti, dunque, alle sole condotte afferenti i capitali oggetto della procedura di rimpatrio. La concessione da parte dell’ordinamento giuridico italiano del beneficio della non punibilità (“scudo”) nei confronti di coloro che avevano sottratto capitali dal potere impositivo dello Stato, esportandoli all’estero in Paesi con pressioni fiscali inferiori o addirittura inesistenti, doveva avere, come ha avuto, una funzione incentivante per l’emersione di ricchezze celate all’estero per evadere il Fisco, permettendone il rientro, regolarizzandole tramite il pagamento dell’imposta straordinaria e concedendo al possesso di questi capitali “depurazione” da eventuali rilievi penali.

 

Il Collegio di legittimità, però, avverte che “non c’è alcun effetto espansivo esterno nel senso di un’immunità soggettiva in relazione ad altri reati nella cui condotta non rilevino affatto i capitali trasferiti e posseduti all’estero e successivamente oggetto di rimpatrio”. L’esonero dalla punibilità, ribadisce, è riferita alle sole somme rimpatriate.

 

È bene ricordare che deve essere chiaro un distinguo tra “scudo fiscale” e “condono”: nel primo caso, le somme godono del beneficio dell’impunibilità; nel secondo, invece, le somme condonate riguardano una specifica annualità reddituale e mantengono l’ordinaria rilevanza penale (cfrCassazione, 28724/2011).

 

In buona sostanza, nel caso specifico, la Corte di cassazione ha ribadito che le somme “scudate” possono essere sottoposte a sequestro preventivo se riferite a condotte che configurano il reato di riciclaggio, proprio perché l’immunità è concessa dall’attuale ordinamento solo per alcuni tipi di reato (articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del Dlgs 74/2000), mentre per altre fattispecie permane l’ordinaria rilevanza penale.