Scudo fiscale: l’adesione alla procedura per il rientro dei capitali determina l’esclusione della punibilità dei reati tributari esclusivamente se si è provveduto a saldare l’imposta dovuta.
Il rimpatrio dei capitali non produce effetti estintivi della punibilità se, al momento della presentazione della dichiarazione per accedere al beneficio, le violazioni penali sono state già constatate o sono iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza. A precisarlo, accogliendo il ricorso della Procura, è la terza sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 55106 del 29 dicembre 2016.
Vicenda processuale
Il procuratore della Repubblica proponeva ricorso avverso l’ordinanza con la quale il tribunale del riesame aveva disposto la revoca del sequestro preventivo di beni (mobili, immobili e quote societarie) emesso dal Gip a carico di due imprenditori, imputati del reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000. Secondo i giudici del riesame, l’avvio di una verifica fiscale successivamente alla data di entrata in vigore del decreto 3 agosto 2009 sullo “scudo fiscale” avrebbe comportato la non punibilità penale degli interessati, che si sarebbero legittimamente avvalsi della disciplina premiale presentando le relative dichiarazioni riservate prescritte dalla legge.
Ad avviso della parte ricorrente, invece, la pronuncia impugnata aveva omesso di prendere in considerazione l’esistenza di determinanti cause ostative alla fruizione dei benefici derivanti dall’adesione allo scudo fiscale, di cui al Dl 78/2009. Tali cause ostative avrebbero impedito il perfezionamento del procedimento per accedere al beneficio. In particolare, la Procura sottolineava come fosse di ostacolo all’accessibilità al regime premiale la circostanza che, alla data di presentazione delle dichiarazioni riservate degli imputati, avesse avuto inizio un’attività di controllo nei loro confronti.
Ai sensi della disciplina in materia, difatti, il rimpatrio delle attività non avrebbe potuto produrre i benefici previsti, ove, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni fosse già stata constatata o comunque fossero state avviate attività di accertamento, tributario o contributivo, di cui gli interessati avevano avuto notizia. Nessun versamento, peraltro, era stato eseguito. Veniva chiesto, dunque, l’annullamento dell’ordinanza di dissequestro.
Le osservazioni della Corte suprema
Il ricorso della Procura è stato accolto dalla Corte suprema, che non ha ravvisato la ricorrenza dei presupposti per escludere la punibilità e ha, pertanto, annullato l’ordinanza del tribunale del riesame con cui era stata disposta la revoca del sequestro dei beni degli imprenditori. I giudici di legittimità hanno sottolineato che, nel caso in questione, le dichiarazioni riservate per la regolarizzazione degli importi evasi erano state presentate successivamente all’apertura della verifica fiscale a carico degli istanti; inoltre, non risultava pagata alcuna imposta sostitutiva straordinaria sulle somme dichiarate.
La sentenza in esame evidenzia come l’esclusione della punibilità per i reati tributari, in caso di rimpatrio dei capitali “scudati”, si perfezioni con il pagamento dell’imposta (articolo 13-bis del Dl 78/2009). I giudici sottolineano, inoltre, che il rimpatrio non produce gli effetti estintivi della punibilità quando, al momento della presentazione della dichiarazione per accedere al beneficio, le violazioni penali siano state già constatate o, comunque, siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza (articolo 14, comma 7, DL 350/2001).
Nel caso esaminato, in data 11 agosto 2009, aveva avuto inizio un’attività ispettiva nei confronti della società, e il successivo 11 settembre era stato notificato ai soci un invito per l’apertura di una verifica fiscale. Ebbene: nonostante il termine per pagare l’imposta per fruire del beneficio premiale decorresse, come previsto dalla normativa in materia, dal 15 settembre 2009, le dichiarazioni riservate prescritte dalla legge venivano presentate soltanto il 30 settembre, dalla società, e il 26 novembre, dai soci.
Come chiaramente puntualizzato dalla Corte “Le dichiarazioni riservate, dunque, sono tutte successive all’inizio delle attività di indagine ostative al perfezionamento dello scudo fiscale, che comunque non si è perfezionato, non essendo stata pagata l’imposta straordinaria”.
I giudici hanno evidenziato che, nel caso di procedimenti iniziati successivamente alla data di entrata in vigore del Dl 3 agosto 2009, l’adesione allo scudo determina l’effetto estintivo della punibilità soltanto qualora venga perfezionato il pagamento dell’imposta straordinaria – non con la mera dichiarazione riservata – e non siano iniziate attività di indagine e/o accertamento. Nella presente fattispecie, come risulta dagli atti processuali, il procedimento penale non era iniziato alla data di entrata in vigore della norma (3 agosto 2009) e quindi sarebbe stato possibile perfezionare il rimpatrio mediante il pagamento dell’imposta e non semplicemente con la presentazione delle dichiarazioni riservate, peraltro inoltrate tutte successivamente rispetto all’avvio dei controlli.
In sostanza, rileva la sentenza, non era stato eseguito il pagamento e, inoltre, le istanze erano posteriori all’inizio dell’attività di verifica.
In conclusione, la presentazione della dichiarazione per avvalersi dello scudo fiscale e il pagamento dell’imposta sostitutiva in data successiva all’avvio dell’attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria impedisce di beneficiare della non punibilità ai fini penali.
Ne è conseguito l’accoglimento del ricorso della Procura, con rinvio della causa al tribunale per un nuovo esame.