reverse-chargeLe modifiche introdotte, in attuazione della delega fiscale, alle violazioni tributarie di cui al Dlgs 471/1997 non si esauriscono nella riforma della dichiarazione – omessa e infedele – e degli omessi e ritardati versamenti. Il legislatore delegato, nell’ottica di creare un “sistema” maggiormente conforme al principio di proporzionalità, ha introdotto rilevanti modifiche anche in altre fattispecie quali, per ciò che in tale sede rileva, quella relativa agli obblighi di documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni rientranti nell’ambito applicativo dell’Iva, contenuta nell’articolo 6.

 

Già all’entrata in vigore del decreto legislativo, l’articolo 6 si caratterizzava per la disciplina sanzionatoria profondamente innovativa rispetto alla precedente, originariamente contenuta nel decreto Iva, disciplinando gli illeciti commessi in relazione agli adempimenti cosiddetti strumentali o prodromici alla corretta determinazione del debito d’imposta.

 

Nella disposizione – già oggetto di un primo intervento di assestamento a opera del “correttivo” della riforma delle sanzioni tributarie, attuata con il Dlgs 203/2008 a breve distanza dall’entrata in vigore del Dlgs 471/1997 – la legge 244/2007 (Finanziaria 2008) ha inserito la nuova disciplina relativa alle violazioni commesse nell’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile, di cui al comma 9-bis (su tale istituto si vedano i molteplici documenti di prassi adottati dall’Agenzia delle Entrate, tra cui la circolare 12/2008, la risoluzione 140/2010 e la circolare 52/2011), nonché quella relativa alla vendita dei mezzi tecnici, di cui ai comma 3-bis e 9-ter.

 

Il legislatore della riforma torna a rivedere l’articolo 6 apportando, tra gli altri, interventi sostanziali alla disciplina del sistema sanzionatorio dell’inversione contabile contenuta nel comma 9-bis, introducendo i tre nuovi commi 9-bis1, 9-bis2 e 9-bis3. La modifica è volta a superare le molteplici difficoltà incontrate dagli operatori nell’applicazione dell’istituto e, di conseguenza, le connesse difficoltà nell’individuazione della sanzione in concreto irrogabile nelle molteplici casistiche offerte dalla prassi commerciale.

 

Anche la giurisprudenza comunitaria si è più volte espressa nel senso di richiedere l’adeguamento del sistema interno a una maggiore proporzionalità e ragionevolezza, affinché lo stesso tenga “conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa“.

 

Prima di esaminare i tratti del nuovo istituto, occorre notare che l’ambito di applicazione dell’intera disciplina del reverse charge – prima limitato alle sole ipotesi di cui agli articoli 17 e 74, commi settimo e ottavo, del Dpr 633/1972 – viene espressamente esteso anche alle altre ipotesi di inversione contabile contemplate dalla disciplina Iva, quali agricoltura e operazioni intracomunitarie. La suddivisione in commi dell’istituto è, peraltro, in linea con la volontà di tracciare, all’interno di ciascuno di essi, una diversa fattispecie sanzionatoria che operi, rispetto a quella precedente, secondo un criterio di specialità.

 
In particolare, il comma 9-bis – che rappresenta categoria giuridica generale in cui trova collocazione tutto ciò che non risulti diversamente disciplinato – contempla l’ipotesi in cui il cessionario o committente, soggetto tenuto all’assolvimento del tributo nelle ipotesi di reverse charge, non adempia o non adempia correttamente l’obbligo prescritto, nei casi – è ovvio – in cui l’operazione deve essere assoggettata al peculiare meccanismo applicativo del tributo. Il comma 9-bis fa riferimento alle violazioni commesse dal soggetto passivo tenuto all’assolvimento del tributo, sia nell’ipotesi in cui il reverse charge si realizzi mediante autofattura sia quando sia prevista l’integrazione della fattura ricevuta dal cedente o prestatore.

 

Tale violazione – prima punita con sanzione amministrativa compresa fra il 100 e il 200% dell’imposta non correttamente assolta, con un minimo di 258 euro – per effetto delle nuove disposizioni è colpita con una sanzione a carattere formale, compresa fra 500 e 20mila euro. Solo se l’operazione non risulti dalla contabilità tenuta ai sensi degli articoli 13 e seguenti del Dpr 600/1973, la sanzione è applicata in misura proporzionale, compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro. In sostanza, per tale ipotesi, viene contemplata l’applicazione della medesima sanzione prevista per la violazione dell’obbligo di documentazione o registrazione di operazioni non imponibili, esenti o non soggette a Iva, di cui al comma 2 della disposizione.

 

Va da sé che, laddove tale violazione comporti anche un’infedele dichiarazione da parte del soggetto Iva o un’indebita detrazione, troveranno applicazione le ordinarie regole sanzionatorie poste a presidio delle predette violazioni, che la nuova disposizione espressamente fa salve. Si pensi all’ipotesi in cui il cessionario o committente non abbia un diritto a detrazione “pieno”, ma un pro-rata di detrazione che, per effetto della doppia registrazione prevista per l’assolvimento del tributo, genererebbe, con riferimento all’operazione soggetta a reverse, un debito Iva. Verosimilmente, in tale ipotesi, oltre alla violazione del meccanismo dell’inversione contabile, si riscontrerà anche l’infedele dichiarazione da parte del soggetto passivo, colpita, in base alle nuove disposizioni, con sanzione compresa tra il 90 e il 180% della maggiore imposta dovuta.

 

Le medesime disposizioni di cui al comma 9-bis si applicano anche nell’ipotesi in cui, dovendo il meccanismo dell’inversione contabile essere assolto mediante integrazione della fattura ricevuta dal cedente o prestatore, quest’ultimo non emetta (o, comunque, non invii al cessionario o committente) il documento fiscale entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione o invii una fattura irregolare. In tale caso, il cessionario o committente è tenuto a informare l’ufficio competente entro il trentesimo giorno successivo, provvedendo entro lo stesso periodo all’emissione di fattura (articolo 21 del Dpr 633/1972) o alla sua regolarizzazione, nonché all’assolvimento dell’imposta mediante inversione contabile.

 

Rispetto alla precedente disposizione, che richiamava il comma 8 dell’articolo 6, il legislatore delegato ha introdotto una specifica ipotesi di regolarizzazione per le operazioni soggette a reverse, in mancanza della quale il cessionario o committente inadempiente è colpito – analogamente alle ipotesi di mancata regolarizzazione di operazioni imponibili – con sanzione piena del 100% dell’imposta.

 

Passando all’esame dei commi 9-bis1 e 9-bis2, in tali disposizioni trova collocazione, in forma di disciplina articolata e innovata, il concetto di “irregolare assolvimento” del tributo, peraltro già presente, sebbene in struttura meno scandita, nella precedente formulazione del comma 9-bis. L’irregolare assolvimento del tributo consente di accedere a un trattamento sanzionatorio meno grave rispetto a quello delineato dal comma 9-bis ma, come già detto, rispetto a tale disposizione si pone come eccezione, con la conseguenza che tutto ciò che non trovi collocazione nella norma derogatoria, deve essere ricondotto alle regole sanzionatorie generali del comma 9-bis.

 

Dall’esame delle norme emerge che possono ricorrere due diversi concetti di irregolare assolvimento, a seconda che si versi in una delle seguenti ipotesi:

 

  • L’operazione doveva essere assoggettata al meccanismo dell’inversione contabile ma è stata assolta in via ordinaria (9-bis1)

 

In tale caso, al cessionario o committente – ossia colui che avrebbe dovuto assolvere il tributo – è applicata una sanzione in misura fissa (da 250 a 10mila euro) nel presupposto che l’imposta è stata applicata secondo le regole ordinarie e, dunque, versata dal cedente/prestatore – che rimane solidalmente responsabile per l’ammontare della sanzione – in luogo dell’applicazione del reverse charge. Viene espressamente fatto salvo il diritto alla detrazione del cessionario o committente, il quale non è tenuto all’assolvimento dell’imposta secondo il meccanismo dell’inversione contabile, così evitandosi l’obbligo di regolarizzazione dell’operazione. Tale ipotesi di irregolare assolvimento non può ricorrere se l’applicazione dell’imposta in regime ordinario in luogo del reverse charge è determinata da intenti fraudolenti, dei quali il cessionario o committente era consapevole. In tale caso, si applica la disciplina di cui al comma 1 dell’articolo 6.

 

 

  • L’operazione doveva essere assolta in via ordinaria ma è stata assolta in reverse charge (9-bis2)

 

Occorre, in proposito, sgombrare il campo da un possibile dubbio: le operazioni che rientrano nell’ambito applicativo del comma 9-bis2 sono esclusivamente quelle a cui, in linea generale, si applica l’inversione contabile, ossia quelle di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, settimo e ottavo commi, del Dpr 633/1972, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, del Dl 331/1993. Solo per tali operazioni, infatti, può verificarsi la circostanza, espressamente prevista dalla norma, di irregolare assolvimento “in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile“. Pertanto, solo per le operazioni rientranti nel novero di quelle soggette al reverse, può trovare applicazione l’ipotesi sanzionatoria in commento laddove, sebbene in mancanza di uno o più requisiti concreti prescritti per la sua applicazione, le stesse siano, comunque, state assolte in inversione.

 

È evidente, al contrario, che, se l’Iva relativa a un’operazione non ricompresa tra quelle oggetto di inversione venga assolta in reverse, troveranno applicazione, in capo al cedente o prestatore, le ordinarie regole sanzionatorie per violazione degli obblighi di documentazione e registrazione di operazioni imponibili e, in capo al cessionario o committente, quelle per la mancata regolarizzazione dell’operazione ai sensi del comma 8.

 

Ciò premesso, si osserva che il comma 9-bis2 è strutturato in misura speculare al comma 9-bis1, prevedendosi l’applicazione di una sanzione in misura fissa (da 250 a 10mila euro) in capo al cedente o prestatore (debitore dell’imposta), ferma restando la responsabilità solidale del cessionario o committente; salvaguardando il diritto alla detrazione del cessionario, ma senza obbligo di regolarizzazione dell’operazione. Anche in tale ipotesi, viene espressamente prevista l’inapplicabilità della norma, con conseguente applicazione delle regole ordinarie di cui al comma 1 (sanzione dal 90 al 180%) per i casi in cui l’applicazione dell’imposta in reverse charge in luogo del regime ordinario è determinata da intenti fraudolenti, di cui il cedente o prestatore era consapevole.

 

Il legislatore ha, inoltre, introdotto, al comma 9-bis3, una peculiare disciplina per l’ipotesi di errata applicazione del reverse charge a operazioni esenti, non imponibili o non soggette a imposta. Come risulta anche dalla relazione illustrativa, in tale evenienza, nella contabilità Iva devono essere eliminati sia il debito che il credito erroneamente registrati, con effetti neutrali. È salvaguardato il diritto al recupero dell’imposta eventualmente non detratta (per indetraibilità soggettiva od oggettiva) attraverso la nota di variazione o la richiesta di rimborso ai sensi dell’articolo 21 del Dlgs 546/1992. La medesima procedura si applica anche per le operazioni inesistenti, con effetti sostanzialmente neutri, salvo in questo caso l’applicazione della sanzione dal 5 al 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.

 

Tale previsione va letta in modo coordinato con l’articolo 31 del decreto in esame, che modifica la disciplina in materia di fatture per operazioni inesistenti contenuta nell’articolo 21 del Dpr 633/1972, evidenziandone – mediante il richiamo espresso alle fatture emesse dal cedente o prestatore – l’applicazione alle operazioni non soggette a reverse charge.

 

Per concludere la panoramica delle novità introdotte all’articolo 6 dal legislatore delegato, va osservato che al comma 1 – dedicato alle violazioni relative a operazioni imponibili – la sanzione base è stata ridotta nella misura compresa tra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio, rispetto alla precedente sanzione fissata nella misura compresa tra il 100 e il 200 per cento. Si tratta delle ipotesi in cui il soggetto passivo violi gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati.

 

Innovativa è, infine, l’introduzione di una specifica riduzione sanzionatoria (sanzione da 250 a 2mila euro) nell’ipotesi in cui la predetta violazione non abbia inciso sulla liquidazione periodica e, quindi, sull’assolvimento del tributo. Si pensi al caso in cui la fattura emessa, dalla quale emerge Iva a debito, venga registrata in ritardo ma, comunque, entro il termine per confluire nella liquidazione di competenza. È evidente, anche in questo caso, l’intenzione del legislatore delegato di graduare la risposta sanzionatoria in accordo alla effettiva gravità della violazione.