usufruttoIn caso di atto di rinuncia al diritto di usufrutto su immobile, qual è l’imposta dovuta?


Confermato l’avviso di liquidazione al notaio che aveva registrato a tassa fissa l’atto con cui due contribuenti avevano “abdicato”, senza corrispettivo, al diritto reale di godimento. In caso di atto di rinuncia al diritto di usufrutto su immobile, è dovuta l’imposta di donazione proporzionale e non quella fissa di registro, in quanto l’atto unilaterale di rinuncia viene colto non già nei suoi effetti giuridici ma essenzialmente in quelli economici, con conseguente tassazione dello spostamento di ricchezza che si attua nel momento in cui un diritto si espande a danno di un altro soggetto (Commissione tributaria regionale della Lombardia, sentenza n. 2457 del 1° giugno 2017).

 

Vicenda processuale

 

La controversia riguarda l’impugnazione da parte di un notaio di un avviso di liquidazione dell’imposta di donazione relativo a un atto di rinuncia al diritto di usufrutto su un immobile. In particolare, il ricorrente aveva registrato a tassa fissa (imposta di registro, ipotecaria e catastale) l’atto con cui due contribuenti avevano rinunciato, senza alcun corrispettivo, al diritto d’usufrutto loro spettante su un immobile, diritto costituito otto anni prima in occasione dell’acquisto di un appartamento.

 

Per il predetto atto, l’ufficio notificava un avviso di liquidazione con recupero dell’imposta di donazione proporzionale. L’ufficio ha sostenuto che, con la rinuncia al diritto di usufrutto, si trasferisce a titolo gratuito un diritto di godimento: dunque, si rientra nel campo di applicazione dell’imposta sulle donazioni, che deve essere determinata con le aliquote e le franchigie prescritte dall’articolo 2, comma 49. Dl 262/2006, modulate in considerazione della natura del legame di parentela intercorrente tra il dante causa e il beneficiario.

 

La Commissione di primo grado ha accolto il ricorso del contribuente, ritenendo che solo la rinuncia onerosa poteva essere considerata atto traslativo, mentre la rinuncia puramente abdicativa, quale atto unilaterale, provoca l’espansione del diritto di proprietà del nudo proprietario, che costituisce effetto “automatico” della rinuncia.

 

La Commissione tributaria di secondo grado ha accolto l’appello dell’ufficio con richiamo delle disposizioni che disciplinano la tassazione di tali atti e affermando che “L’art. 2, comma 47 del D.L. n. 262 del 2006, in connessione con l’art. 1, comma 2 del D.Lgs. n. 346 del 1990, prevede che la rinunzia a diritti reali costituisce presupposto per l’applicazione dell’imposta di donazione; secondo l’art. 1, Tariffa Parte 1, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 sull’imposta di registro, l’aliquota proporzionale si applica alla ‘rinuncia pura e semplice’ a diritti reali immobiliari di godimento”. Dunque, accogliendo la tesi difensiva dell’ufficio, “Tale spostamento di ricchezza sarà soggetto ad imposta di registro se attuato a fronte di un corrispettivo e all’imposta di donazione se attuato a titolo gratuito”.

 

Osservazioni

 

La questione verte sul corretto inquadramento ai fini fiscali del negozio giuridico che si configura in caso di rinuncia, a titolo gratuito, al diritto di usufrutto, a favore del nudo proprietario. Si premette che il negozio giuridico attraverso il quale l’usufruttuario rinuncia al proprio diritto reale di godimento detenuto sul bene fa sì che il diritto del nudo proprietario si espanda, divenendo egli nuovamente pieno proprietario della cosa. La rinuncia al diritto in questione è, quindi, riconducibile a un atto che trasferisce un diritto reale di godimento, in quanto, con tale atto, si produce un vantaggio in capo a uno specifico soggetto; tra l’atto di rinuncia e l’arricchimento del beneficiario sussiste un nesso di causalità.

 

Infatti, anche in mancanza di un palese accordo negoziale o di una esplicita menzione in atto, l’effetto che deriva dalla rinunzia consiste nella ricostituzione della piena proprietà dell’immobile, già gravato dal diritto di usufrutto, con conseguente arricchimento del patrimonio del nudo proprietario. In tal senso, si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità affermando che “il titolare si priva del suo diritto indipendentemente dalla circostanza che la rinuncia assuma la forma dell’abbandono o quella dell’indicazione del successivo titolare: infatti è sempre un altro soggetto ad acquistare la titolarità del diritto rinunciato, sia che tale acquisto avvenga immediatamente (rinuncia traslativa), sia che esso abbia luogo successivamente (rinuncia abdicativa)” (cfr Cassazione, 16495/2003).

 

I giudici di legittimità hanno ribadito, in modo più esplicito, che “il venire meno dell’imposta di consolidazione, alla luce delle comuni regole deducibili dall’ordinamento tributario, ha comportato l’assenza di imposizione dove il consolidamento derivi da un fatto (morte dell’usufruttuario, scadenza del termine) ma non ove il trasferimento derivi da un atto negoziale, cioè da uno specifico atto ben distinto dall’atto di separazione della proprietà dall’usufrutto. D’altronde non vi sarebbe alcun logico motivo per assoggettare ad imposta la cessione di usufrutto di cui all’art. 980 del codice civile e non la rinuncia negoziale al diritto stesso, che arreca al nudo proprietario un arricchimento identico a quello conseguito da chi riceve l’usufrutto” (cfr Cassazione, 24512/2005 e 14279/2000).

 

Per quanto concerne l’imposizione dei negozi giuridici di rinuncia, occorre considerare che l’articolo 1 della tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986, nel disciplinare la tassazione degli atti di trasferimento immobiliare, dispone che sono soggetti a imposta proporzionale di registro gli atti traslativi o costitutivi di diritti immobiliari di godimento, “compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi”. Come evidenziato anche dai giudici nelle sentenza in commento la rinuncia “traslativa” a titolo oneroso dell’usufrutto è soggetta a imposta di registro con le aliquote individuate dall’articolo 1 della tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986, mentre la rinuncia a titolo gratuito è soggetta a imposta di donazione con le aliquote previste dall’articolo 2, comma 49, Dl 262/2006.

 

Invero, l’articolo 2, comma 47, del Dl 262/2006, ha introdotto l’imposta sulle successioni e donazioni, regolata, salvo quanto espressamente derogato, dalle disposizioni del Dlgs 346/1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001. La medesima disposizione individua l’ambito di riferimento dell’imposta, stabilendo che la stessa si applica sui “…trasferimenti di beni e diritti per causa di morte per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione”.

 

La sentenza della Ctr in commento presenta profili d’interesse anche perché afferma il principio di diritto in base al quale l’atto unilaterale di rinuncia deve essere colto non per i suoi effetti giuridici, ma essenzialmente per quelli economici, ossia lo spostamento di ricchezza che si realizza. Sulla base di tale assunto, sono respinte le difese del contribuente, laddove i giudici di appello evidenziano che “la giurisprudenza ricordata dalla parte privata secondo la quale la rinuncia meramente abdicativa è negozio unilaterale che non può essere considerato donazione attiene all’aspetto civilistico e formale dell’istituto, nel senso che – ad esempio – la rinuncia in quanto tale non richiede la forma solenne della donazione. Ma, come s’è detto, la legislazione fiscale coglie e sottopone a tassazione gli effetti economici della rinuncia, anche al fine di evitare ben possibili elusioni fiscali (acquisto della nuda proprietà con usufrutto ad un terzo poi rinunciante) che sarebbero ben possibili dopo l’abolizione dell’imposta di consolidamento. L’effetto economico della rinuncia non è del resto principio estraneo al nostro ordinamento”.

 

A sostegno della decisione, il collegio richiama un precedente della Cassazione (sentenza 13117/1997) che, in materia successoria, ha affermato che la rinuncia all’usufrutto “è suscettibile di integrare una donazione indiretta a favore del nudo proprietario dei beni gravati dal diritto reale parziario rinunciato, perché, comportando un’estinzione anticipata di tale diritto, si risolve nel conseguimento da parte di detto dominus dei vantaggi patrimoniali inerenti all’acquisizione del godimento immediato del bene, che gli sarebbe sottratto se l’usufrutto fosse durato fino alla sua naturale scadenza: il controvalore di tali vantaggi è, pertanto, senz’altro passibile di convogliamento nella massa ereditaria di cui all’art. 556 c.c.”.

 

La pronuncia della Ctr è conforme alla prassi amministrativa e conferma l’interpretazione resa nella risoluzione 25/2007, poi richiamata dalla circolare 28/2008, che, in merito agli atti a titolo gratuito, precisa “che tra gli atti a titolo gratuito sono ricompresi tutti i trasferimenti di beni e diritti privi dell’animus donandi, ossia della volontà del donante di arricchire il donatario con contestuale suo impoverimento. Rientrano, ad esempio, nella categoria degli atti a titolo gratuito gli atti costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi, qualora la causa dei tali atti non sia costituita da una controprestazione economicamente rilevante (in proposito si veda anche la risoluzione n. 25 del 16 febbraio 2007)”.