Il Riequilibrio rappresenta un’alternativa obbligatoria al Dissesto dell’Ente Locale: scopriamone le motivazioni.
ll dissesto rappresenta per una comunità territoriale un evento sicuramente nefasto ( si vedano gli articoli di stampa locale circa i disagi ed il panico che ha generato la diffida al dissesto per il comune di Catania recentemente notificata da Corte Conti Sicilia).
A prescindere dagli aumenti di aliquote e tributi, destinati al solo ripiano dell’indebitamento pregresso, non si riesce mai a soddisfare pienamente le pretese dei creditori, spesso rappresentati da imprese ed artigiani locali, che in tale evenienza rischiano seriamente anche la loro stabilità occupazionale, compromettendo irrimediabilmente l’economia e l’occupazione locali, già seriamente attentate dalla spaventosa crisi che si sta attraversando. Infatti le procedure di dissesto in corso, stentano a chiudersi e probabilmente non si chiuderanno mai, dato che l’articolo 31, comma 15 della Legge 289/2002, ha abrogato la possibilità di far ricorso al mutuo per finanziare la massa passiva del dissesto. In effetti, attualmente, il mutuo può coprire solo debiti di parte capitale o anche debiti di parte corrente, solo però se sorti antecedentemente alla riforma costituzionale del 2001.
Il Consiglio di Stato è intervenuto sulla questione, con riferimento al comune di Paola, con l’ordinanza n. 1152/2013 emessa dalla V Sezione il 27 marzo 2013, affermando che il dissesto è un evento di carattere eccezionale e drammatico nella vita dell’Ente comunale, perché cede parte della sua autonomia allo Stato Centrale che penetra nell’Ente con una Commissione Straordinaria di Liquidazione, che gestirà tutte le passività, inoltre il Comune perde la propria capacità di autodeterminazione nelle normali scelte amministrative ed è obbligato, per i cinque anni successivi alla dichiarazione, a predisporre delibere, non revocabili, di aumento massimo di tutte le aliquote/tributi e tasse, inoltre vi è l’obbligo di riduzione drastica del personale in eccedenza, il divieto di nuove assunzioni, il congelamento dei crediti e delle procedure esecutive e dei pignoramenti, il blocco assoluto dell’accensione di nuovi mutui o finanziamenti e il taglio dei servizi indispensabili (mense scolastiche, scuolabus, interventi sociali, etc.).
Prosegue poi il Consiglio di Stato indicando all’Ente la via da seguire: evitare in ogni modo la dichiarazione di dissesto attraverso il ricorso ai mezzi legali predisposti dal Legislatore. Allora perché fare fallire un ente locale, espressione esponenziale della collettività.
Ben farebbe allora il Legislatore a puntare sulla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, 243 bis del Tuel, in luogo dell’obbligo al dissesto, guidato da Corte dei conti.
Quindi, la via della adozione del piano pluriennale di riequilibrio appare la più percorribile, anche se sicuramente la più onerosa (nel profilo dell’impegno gestionale per la amministrazione attuale e le future, dato che é comune esperienza infatti che le amministrazioni, con il ricorso alla ordinaria procedura di dissesto, finiscono per essere sgravate da tutta una serie di azioni tendenti al risanamento, continuando nella loro azione scarsamente produttiva, mentre con la procedura di riequilibrio sentirebbero il fiato sul collo della amministrazione e dei cittadini), sarebbe utile che il Legislatore ne prendesse definitivamente atto, prevedendola quale sola via di uscita per la crisi economico finanziaria dell’ente locale.
In luogo del dissesto, nel tuel, si dovrebbe prevedere il solo obbligo della procedura di riequilibrio. In sostanza, all’emergere di comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell’ente locale in grado di provocarne il dissesto finanziario, Corte Conti provvede a diffidare gli enti ad adottare un piano di riequilibrio.
Sanzionando l’omessa adozione nei termini assegnati con lo scioglimento del Consiglio comunale e la nomina del commissario ad acta, così come avviene per la omessa approvazione dei bilanci.
Tuttavia, dato che con la modifica, si vuole salvare le amministrazioni e non gli amministratori, questi ultimi, quando ritenuti responsabili della “insolvenza”, andrebbero adeguatamente sanzionati pecuniariamente, mai con la ineleggibilità, sanzione questa troppo strumentalizzata dalle opposizioni che spesso tifano a favore dell’attuale procedura di dissesto, senza farsi scrupolo dei danni che provocano.