Il 10% della ricchezza mondiale è nascosto nei paradisi fiscali: è la conclusione a cui è pervenuto lo studio di un noto centro di ricerca che ha utilizzato una serie di dati combinati.
Un decimo del denaro mondiale è investito nelle piazze finanziarie offshore. Il risultato, presentato dal National Bureau Of Economic Research del Massachusetts (Nber) il mese scorso, è stato ottenuto grazie a un lavoro di equipe che ha passato in rassegna le statistiche e i dati macroeconomici disponibili in letteratura. L’organizzazione non profit statunitense ha così calcolato la quantità di valuta che i cittadini degli Stati sovrani hanno collocato il più possibile lontano dal Fisco dei Paesi di origine, più precisamente nei rifugi fiscali o tax haven.
In media l’equivalente del 9,8% del Pil mondiale risulta detenuto nei cosiddetti paradisi fiscali, ma questo valore medio maschera enormi differenze tra una parte e l’altra del globo. Si passa infatti dai pochi punti percentuali rappresentati dagli Stati scandinavi, a circa il 15% della ricchezza in media dell’Europa continentale, per arrivare all’incredibile rank che sfiora o supera il 60% dei patrimoni se si prendono in esame i dati relativi ai Paesi del Golfo e ad alcune nazioni dell’America Latina (Venezuela e Argentina).
Capitali in fuga, i Paesi arabi al primo posto del podio
Se si guarda all’origine dei flussi, possiamo dire che Mosca e Riyad preferiscono la Svizzera, mentre gli americani veleggiano soprattutto verso i Caraibi. In particolare, i Paesi del Golfo continuano a rivolgersi per lo più alle banche svizzere, mentre i detentori dei grandi patrimoni russi hanno come destinazione sia la Svizzera che Cipro. Tra le mete preferite di quelli di Francia, Belgio e Portogallo, invece, figurano anche i quasi altrettanto noti Lussemburgo e Jersey (oltre alla sempre verde Svizzera).
Analizzando i grafici contenuti nella ricerca, l’Italia risulta leggermente al di sopra della media mondiale dei Paesi i cui capitali sono in fuga dal Fisco (il Belpaese si trova poco oltre quota 10%). Ancora più in alto si piazzano Russia, Francia, Germania, Regno Unito, Belgio e Turchia (che ha esportato all’incirca un quinto del proprio Pil nei paradisi fiscali). E siamo soltanto a metà della classifica. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Venezuela sono difatti al di sopra della soglia del 50%. Più di metà della loro ricchezza ha già preso il volo.
Paradisi fiscali, la cartina aggiornata
Quanto ai Paesi destinatari dei capitali in fuga, la Svizzera è stata a lungo imbattibile ed è ancora oggi prima in classifica. Il 30% della ricchezza spostata all’estero risiede qui. Nonostante dal 2008 in poi il potere attrattivo delle finanziarie della Federazione sia andato affievolendosi, ben 2,3 miliardi di dollari di origine straniera sono detenuti nelle banche svizzere (dati della Banca Centrale elvetica, relativi al mese di aprile 2017). Anche in passato Berna – una delle poche piazze finanziarie dove i flussi di denaro offshore sono rilevabili direttamente dalle statistiche ufficiali – era la meta principale della ricchezza globale offshore stimata. Nel 2001 nei forzieri svizzeri si stimava risiedesse il 40% del totale dei patrimoni fuggiti dagli Stati di residenza dei detentori, ancora di più nel biennio 2006/2007 (tra il 45% e il 50% dei 5,6 mila miliardi stimati globalmente nei paradisi fiscali).
La ricerca scientifica chiede maggiore trasparenza
I risultati contenuti nel rapporto del National Bureau sono la prova che, in un mondo globalizzato, i dati tratti dalle dichiarazioni dei redditi non sono sufficienti a farsi un’idea verosimile della reale distribuzione della ricchezza. Tanto meno possono bastare a stimare in termini di gettito un eventuale rientro di capitali su base mondiale. Utilizzando i dati disponibili, gli autori del working paper (Alstadsæter, Johannesen e Zucman) hanno provato a ridistribuire teoricamente le quote della ricchezza mondiale dei dieci Paesi che contano da soli circa la metà del Pil mondiale. Dato che i capitali depositati in conti offshore appartengono principalmente alla categoria dei super ricchi, se si tiene conto anche dei beni e patrimoni parcheggiati nei paradisi fiscali il valore della ricchezza in mano allo 0,01% della popolazione in Europa sale ancora di più e allarga ulteriormente la forchetta tra classi ricche e classi povere.
In ogni caso, per Alstadsæter, Johannesen e Zucman, le ricerche che hanno a oggetto la misurazione della ricchezza e del benessere nazionali devono affrontare difficoltà crescenti in un mondo globalizzato quale il nostro. Un ostacolo al lavoro scientifico è sicuramente rappresentato dallo sviluppo, a partire dagli anni ’80, di un’ampia industria finanziaria specializzata nella gestione dei patrimoni offshore, in Svizzera, Hong Kong, Bahamas e altri centri finanziari. Da più di tre decenni le istituzioni finanziarie situate in questi Paesi si rivolgono ai ricchi di tutto il mondo in cerca di un rifugio per i propri patrimoni, mettendo a loro disposizione un’offerta variegata di servizi finanziari (non necessariamente illegali). Sono proprio questi servizi a rendere più opaca e difficile da osservare la ricchezza mondiale, soprattutto per chi lavora attingendo ai dati economici tradizionali.