Residenza ed entrate hanno un peso ai fini dell’agevolazione fiscale? È l’interrogativo a cui hanno risposto gli eurogiudici in una controversia tra un cittadino olandese e l’Amministrazione finanziaria per il diniego della deducibilità dei redditi negativi.
La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone un cittadino olandese all’Amministrazione fiscale nazionale in ordine al diniego della deducibilità dei redditi negativi provenienti da un’abitazione di proprietà sita in Spagna, opposto al contribuente dall’Amministrazione fiscale olandese.
La normativa fiscale olandese
Sulla base della disciplina interna, l’imposta sui redditi delle persone fisiche nei Paesi Bassi grava non soltanto sui redditi da lavoro, ma anche su quelli ‘da abitazione’. Nei casi in cui quest’ultima è ‘di proprietà’, si ritiene che essa procuri “agevolazioni” calcolate in percentuale sul valore dell’immobile. A tali “agevolazioni” vengono imputati gli oneri deducibili, tra i quali gli interessi e le spese relativi ai debiti contratti per l’acquisto dell’immobile. Qualora l’importo di tali spese sia superiore a quello delle “agevolazioni”, il soggetto passivo si trova in una situazione di redditi negativi. A questa ipotesi è riconducibile la fattispecie oggetto della controversia in commento riferita ad un cittadino olandese, con riguardo alla sua abitazione sita in Spagna.
La prima questione
La vicenda è stata esaminata dalla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte UE, tra l’altro, due questioni. Con la sua prima questione, il giudice “a quo” chiede, in sostanza, se l’articolo 49 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro la cui normativa tributaria consente la deduzione di “redditi negativi” relativi a un’abitazione neghi il beneficio di tale deduzione a un lavoratore autonomo non residente nel caso in cui quest’ultimo percepisca, nel territorio di tale Stato membro, il 60% del totale dei propri redditi e non percepisca, nel territorio dello Stato membro in cui si trova la sua abitazione, redditi che gli consentano di far valere un pari diritto alla deduzione.
Un’agevolazione connessa alla situazione personale
La presa in considerazione dei “redditi negativi” relativi a un bene immobile situato nel territorio dello Stato membro in cui un soggetto passivo ha eletto domicilio costituisce un’agevolazione fiscale connessa alla sua situazione personale, utilizzata per valutare la sua capacità contributiva complessiva. Pertanto, poiché priva i soggetti passivi non residenti della possibilità, concessa ai soggetti passivi residenti, di dedurre tali “redditi negativi”, la normativa di uno Stato membro riserva ai primi un trattamento meno favorevole rispetto ai secondi. Occorre quindi verificare se il criterio della residenza previsto dalla normativa all’esame della Corte UE configuri una discriminazione. Una discriminazione può risultare soltanto dall’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe oppure dall’applicazione della stessa norma a situazioni diverse. In materia di imposte dirette, i residenti e i non residenti non si trovano, di regola, in situazioni analoghe, in quanto il reddito percepito nel territorio di uno Stato membro da un soggetto non residente costituisce il più delle volte solo una parte del suo reddito complessivo, concentrato nel luogo della sua residenza, e in quanto la capacità contributiva personale del non residente, derivante dalla presa in considerazione dell’insieme dei suoi redditi e della sua situazione personale e familiare, può essere valutata più agevolmente nel luogo in cui egli ha il centro dei propri interessi personali ed economici, che corrisponde in genere alla sua residenza abituale.
La discriminazione tra residenti e non
Potrebbe sussistere discriminazione sulla base del Trattato FUE solo se, nonostante la loro residenza in Stati membri differenti, fosse accertato che le due categorie di soggetti passivi si trovano in una situazione analoga. Tale situazione si verifica nel caso in cui un soggetto passivo non residente non percepisca redditi significativi nel territorio dello Stato membro di residenza e tragga la parte essenziale delle sue risorse imponibili da un’attività svolta in un altro Stato membro, ragion per cui lo Stato membro di residenza non è in grado di concedergli le agevolazioni derivanti dalla presa in considerazione della sua situazione personale e familiare.
In tale circostanza, la discriminazione consiste nel fatto che la situazione personale e familiare di un non residente che percepisce, in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede, la parte essenziale dei suoi redditi e la quasi totalità dei suoi redditi familiari, non è presa in considerazione né nello Stato membro di residenza né nello Stato membro di occupazione. Alla luce delle agevolazioni fiscali destinate, in base alle disposizioni della normativa nazionale all’esame della Corte UE, a determinare la capacità contributiva del soggetto passivo interessato, quali le norme che tassano il reddito fittizio derivante da un’abitazione di proprietà e consentono correlativamente la deduzione degli oneri ad essa relativi, la sola circostanza che un soggetto non residente abbia percepito redditi, nel territorio dello Stato membro in cui esercita la propria attività, in condizioni più o meno simili a quelle dei residenti di tale Stato non è sufficiente a rendere la sua situazione oggettivamente analoga a quella di questi ultimi.
Reddito, residenza e agevolazioni fiscali
Infatti, occorre altresì dimostrare, per poter constatare una tale analogia oggettiva, che, poiché tale soggetto non residente ha percepito la parte essenziale dei suoi redditi fuori dal territorio dello Stato membro di residenza, tale Stato non è in grado di concedergli le agevolazioni derivanti dalla presa in considerazione dell’insieme dei suoi redditi e della sua situazione personale e familiare. Quando il soggetto non residente percepisce, nel territorio di uno Stato membro nel quale svolge una parte delle sue attività, il 60% del totale del suo reddito ovunque prodotto, nulla consente di considerare che, per ciò solo, lo Stato membro in cui risiede non sia in grado di prendere in considerazione l’insieme dei suoi redditi e la sua situazione personale e familiare. Diverso sarebbe soltanto qualora risultasse che l’interessato, nel territorio dello Stato membro in cui risiede, non ha percepito alcun reddito o ha percepito redditi talmente bassi da non consentire a tale Stato di concedergli le agevolazioni derivanti dalla presa in considerazione dell’insieme dei suoi redditi e della sua situazione personale e familiare.
Tale situazione appare ricorrere nella fattispecie in esame. Tutto ciò premesso, la Corte UE perviene alla conclusione che l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro, la cui normativa tributaria consente la deduzione di “redditi negativi” relativi a un’abitazione, neghi il beneficio di tale deduzione a un lavoratore autonomo non residente nel caso in cui quest’ultimo percepisca, nel territorio di tale Stato membro, il 60% del totale dei propri redditi e non percepisca, nel territorio dello Stato membro in cui si trova la propria abitazione, un reddito che gli consenta di far valere un pari diritto alla deduzione.
La seconda questione pregiudiziale
Con la sua seconda questione, il giudice “a quo” chiede, in sostanza, se il divieto derivante dalla risposta alla prima questione riguardi soltanto lo Stato membro nel cui territorio è percepito il 60% del totale dei redditi, oppure se esso è comune a qualsiasi altro Stato membro nel cui territorio il soggetto passivo non residente avrebbe percepito redditi imponibili che gli consentano di far valere in detto Stato un pari diritto alla deduzione, e in base a quale criterio di ripartizione. Esso si chiede inoltre se la nozione di “Stato membro di attività” rinvii a uno Stato membro nel cui territorio è concretamente svolta un’attività, oppure a uno Stato membro che dispone del potere di assoggettare a imposta i redditi derivanti da un’attività.
Il significato di “Stato membro di attività”
La nozione di “Stato membro di attività” può essere intesa solo nel senso che indica uno Stato membro competente a imporre, in tutto o in parte, i redditi da lavoro di un soggetto passivo, a prescindere dal luogo in cui è svolta concretamente l’attività che genera tali redditi. Inoltre, la libertà degli Stati membri, in mancanza di misure di unificazione o di armonizzazione fornite dal diritto dell’Unione, di ripartirsi l’esercizio delle loro competenze in materia tributaria, in particolare per evitare il cumulo di agevolazioni fiscali, deve conciliarsi con la necessità di garantire ai soggetti passivi degli Stati membri interessati che, globalmente, l’insieme della loro situazione personale e familiare sarà debitamente preso in considerazione, quale che sia il modo in cui gli Stati membri interessati si sono ripartiti tale obbligo. Nell’ipotesi in cui un lavoratore autonomo percepisca i propri redditi nel territorio di più Stati membri, diversi da quello in cui risiede, tale conciliazione può essere ottenuta soltanto consentendogli di far valere il suo diritto a dedurre i “redditi negativi” in ciascuno degli Stati membri di attività che concedono tale tipo di agevolazione fiscale, proporzionalmente alla quota dei suoi redditi percepiti nel territorio di ciascuno Stato membro, e con l’onere a suo carico di fornire alle amministrazioni nazionali competenti ogni informazione sui propri redditi ovunque prodotti che consenta loro di determinare tale proporzione.
La conclusione degli eurogiudici
Tutto ciò premesso, la Corte UE perviene alla conclusione che il divieto che deriva dalla risposta alla prima questione riguarda qualsiasi Stato membro di attività nel cui territorio un lavoratore autonomo percepisce redditi che gli consentono di far valere in detto Stato un pari diritto alla deduzione, in proporzione alla quota di detti redditi percepiti nel territorio di ciascuno degli Stati membri di attività. A tal proposito, si considera “Stato membro di attività” qualsiasi Stato membro che abbia il potere di assoggettare a imposta i redditi da lavoro di un soggetto non residente percepiti nel suo territorio, a prescindere dal luogo in cui è svolta concretamente tale attività.