Ingresso del ministro del Tesoro a Roma. REUTERS/Alessandro BianchiL’operazione è stata lanciata il 25 novembre 2015, nell’ambito del piano di ristrutturazione del debito delle Regioni, e consiste nel riacquisto da parte delle Regioni dei titoli obbligazionari da esse stesse emessi, con l’obiettivo di ridurre gli oneri finanziari del debito regionale e semplificarne la struttura.

 

Il buy-back ideato, coordinato e supervisionato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ha visto coinvolte sei Regioni: Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche e Puglia. Il 9 dicembre, alla chiusura della prima fase del programma, le richieste di adesione da parte degli investitori all’offerta di riacquisto lanciata dalle Regioni, che riguardava un massimo di 5,6 miliardi di euro di titoli in circolazione, sono ammontate a circa 3,7 miliardi, pari al 66% del massimo riacquistabile. Il giorno 11 dicembre le Regioni hanno fissato il prezzo e le quantità riacquistate secondo i termini dell’offerta.

 

Per il riacquisto, gli Enti sono stati finanziati dal MEF attraverso un mutuo trentennale per un importo nominale complessivo pari a € 2.841.093.382,63 al tasso fisso del 2,26% annuo (rendimento del BTP di equivalente durata finanziaria) e con un contributo pari a 403.374.226,96.

 

1) Per la definizione dei prezzi di riacquisto si è fatto riferimento ai prezzi prevalenti di mercato?

 

Parlare di “prezzi prevalenti di mercato” per i bond regionali oggetto di riacquisto (come in generale per le emissioni degli enti locali italiani) è quanto meno improprio, trattandosi di titoli per i quali non sono stati rilevati scambi di una qualche rilevanza fin dalla loro emissione anni fa. Si tratta, infatti, di titoli altamente illiquidi, detenuti per la quasi totalità da investitori istituzionali in portafogli cosiddetti “held to maturity”, oppure utilizzati nei pool di emissioni di covered bond. Se invece ci si riferisce ai prezzi indicativi riscontrabili su information provider come Reuters o Bloomberg, si tratta, per l’appunto, di prezzi puramente teorici, virtuali, a causa della mancanza degli elementi fondamentali per la formazione di un mercato: domanda e offerta.

 

2) Quali criteri sono stati seguiti per fissare i prezzi di riacquisto?

 

La caratteristica intrinseca di tale tipologia di titoli illustrata precedentemente, fa sì che la maggior parte dei detentori, soprattutto quelli con gli ammontari più grandi, abbia registrato nei propri bilanci questi bond al prezzo storico di acquisto, misurato attraverso il c.d. “spread at issuance”, ossia il prezzo che si ottiene, al momento dell’emissione, fissando lo spread sul tasso mid-swap interpolato sull’esatta scadenza di ogni singolo titolo. Qualsiasi prezzo inferiore a quello equivalente a tale spread riportato ad oggi comporta per il detentore una perdita. I prezzi offerti per il riacquisto non sono stati, quindi, al di sopra di un inesistente prezzo di mercato, bensì sono stati al di sotto del prezzo equivalente allo spread at issuance.

 

3) Questo vuol dire che gli investitori hanno accettato una certa “penalizzazione”?

 

Il prezzo di riacquisto è stato ottenuto chiedendo ai principali investitori un sacrificio pari a circa l’1% sul valore registrato nei loro bilanci. Infatti, se si prende lo spread all’emissione e lo si traduce in cash price si vedrà come in tutti i casi il prezzo offerto per il buy-back è risultato inferiore, e la larga maggioranza degli investitori che hanno deciso di aderire all’offerta hanno accettato una perdita rispetto ai livelli a cui registravano in bilancio la posizione. I prezzi offerti, pur essendo stati tarati per massimizzare l’adesione dei detentori dei titoli, hanno comportato comunque per questi ultimi una perdita, tant’è che hanno fatto sì che alcuni bondholder non hanno aderito, non volendo sopportare neppure una perdita limitata.

 

4) Come sono state reperite le risorse per far fronte al riacquisto?

 

Il funding necessario all’operazione di riacquisto è stato condotto dal Tesoro nel corso del 2014 (tant’è che le risorse necessarie dall’inizio del 2015 sono state depositate in una Contabilità Speciale) quando il tasso medio all’emissione è stato pari all’1,35%, mentre, come noto, le Regioni pagheranno nel mutuo concesso un tasso fisso del 2,26%.

 

5) In sostanza, chi ha guadagnato e chi ha perso con il buy back?

 

Il deal, come qualsiasi operazione di mercato, per avere successo deve poter rappresentare un’opportunità per tutte le parti coinvolte, conciliando contemporaneamente l’esigenza dei bondholder di minimizzare la perdita e degli emittenti di massimizzare l’adesione dei detentori dei titoli a rivendere i bond.

 

Nella fattispecie, attraverso questo buy-back:

 

– gli investitori hanno potuto smobilizzare posizioni ad un costo per loro accettabile;

 

– le Regioni hanno allungato la scadenza, ridotto il proprio debito e abbassato drasticamente il costo dello stesso per i prossimi 10 anni, in media di circa 110 milioni l’anno, eliminando circa 3,5 miliardi di nozionale di derivati e così semplificando la propria posizione finanziaria;

 

– Il Paese, nel suo insieme, ha ottenuto una riduzione di quasi 400 milioni di debito della P.A.

 

Se c’è qualcuno che ha “vinto” con questa operazione è chi crede che sia possibile uno sforzo congiunto di Amministrazione Centrale e Regioni per raggiungere obiettivi e benefici comuni.