Da qualche tempo la politica italiana è concentrata sulle riforme costituzionali.
Con legge ordinaria si sono “falsamente” soppresse le province – uno dei pilastri dell’ordinamento costituzionale italiano. In buona sostanza si è impedito agli elettori di scegliere chi dovesse avere la responsabilità di amministrarle.
Altro tema caldo la soppressione del Senato, meglio, anche qui, non l’abolizione dell’organo ma della facoltà e del diritto dei cittadini di eleggere i senatori, a prescindere dalle prerogative da questi esercitate con la riforma…
Tralasciando i Comuni, roccaforte da secoli di autonomia e rappresentanza delle popolazioni, quindi difficile da “sopprimere”, anche se è in atto il tentativo almeno di accorparli, attraverso la “razionalizzazione” dei trasferimenti, in buona sostanza nel loro taglio e nella loro drastica riduzione. L’alternativa è la sostituzione dello Stato gabelliere con i gabellieri comunali!
Rimangono le regioni, volute dai costituenti ed entrate in funzione nel 1970 per dare un taglio allo Stato accentratore, sostituendolo con qualcosa di più vicino, più prossimo ai cittadini e più consapevole dei loro bisogni e necessità.
Nella passione di vedere i “cittadini” sempre più protagonisti, negli anni ‘90 del secolo scorso un governo di sinistra, per la prima volta in Italia un Presidente del Consiglio comunista, con una risicatissima maggioranza parlamentare di appena 4 voti, ma con il beneplacito unanime di tutti i presidenti delle regioni, approvò una modifica del titolo V della Costituzione assegnando ampi poteri in materie fondamentali alle regioni italiane.
Mal ce n’è venuto!
L’autonomia, il regionalismo, la possibilità di avvicinare lo Stato ai cittadini, si è mutato, nel giro di pochi anni, nel nuovo “centralismo” regionale, nello sperpero e nello spreco, oltre che negli scandali…
Quello che si era combattuto nello Stato centrale si rinnovava nelle regioni moltiplicando, però, per venti i mali statali.
Da qui le prime proposte, per esempio, della fondazione Agnelli di “accorpare” le regioni in macro-aree, sei o sette in tutto.
Da qui il recente dibattito ed il tentativo, appunto, della discussa nuova riforma costituzionale, che, per alcuni versi, altro non è che il sottrarre alcune competenze alle regioni, il ri-accentramento di compiti e funzioni nello Stato.
Chi ci segue sa che di fronte ad ogni tentativo di centralismo le nostre antenne si rizzano e si alzano. Ma… anche noi riflettiamo e maturiamo non per difendere acriticamente i livelli di autonomia. Non staremmo nell’AICCRE se non credessimo nella bontà di una differenziazione federale dei compiti e delle funzioni per meglio “servire” i cittadini.
Se esaminiamo i bilanci delle regioni ci rendiamo conto – tutti, critici e sostenitori – che le risorse regionali sono assorbite per l’85% dalla spesa sanitaria.
Aggiungiamo che la sanità non garantisce equamente gli stessi livelli a tutti i cittadini.
E’ vero che ci sono i LEA – livelli di assistenza essenziali – ma nella pratica tutti sappiamo che la sanità italiana è a macchia di leopardo e che in zone del Nord funziona meglio e a costi più contenuti.
Se è così la situazione allora c’è veramente da ripensare al regionalismo. Soprattutto quando le regioni da enti di programmazione e di legislazione si sono appiattite a enti di gestione e spesa!
Certamente non sarebbe una cattiva idea prendere le migliori pratiche sanitarie italiane e applicarle a tute le zone e per tutti i cittadini.
Avremmo meno spese, più e migliori servizi e quindi meno tasse.
A che servono tante ASL – direttori generali, sanitari, amministrativi ecc…
A che serve comprare le forniture di attrezzature e materiale sanitario ognuno per conto suo ecc..
Insomma per la sanità – di fronte al fallimento, acclarato e riconosciuto da tutti – non sarebbe male che il meglio, divenuto centralizzato, fosse applicato per il benessere di “tutti” i cittadini italiani, a prescindere se abitano a Milano in Lombardia o a Carlantino in Puglia.
Il resto del bilancio delle regioni – meno del 20% – ha bisogno di un costosissimo apparato politico- amministrativo moltiplicato venti?
Potrebbe, ad avviso di chi scrive, essere “gestito” da enti più piccoli delle regioni – chiamateli province, aree vaste o vattelapesca.
Una riflessione in questo senso io credo l’AICCRE abbia il dovere di farla e di offrirla ai decisori, perché non ci siamo mai preoccupati di difendere posizioni di potere politico o di “casta” ma di garantire un ordinamento giuridico-costituzionale (in verità guardando all’Europa) che fosse idoneo al più efficiente governo dello Stato ma più funzionale ai bisogni dei cittadini, unici veri depositari del potere nel cui nome alcune migliaia di “rappresentanti” governano il Paese – comune, provincia, regione, Stato nazionale ed europeo).
la rovina economica e politica dell’italia è la burocrazia accresciuta notevolmente con l’istituzione delle 20 regioni volute in costituzione dai comunisti per assicurarsi il governo certo di una parte del paese.