L’amministrazione finanziaria deve intervenire e procedere anche se il soggetto frammesso è veramente esistente e le operazioni contestate sono state effettivamente compiute. Valido l’accertamento con il quale il Fisco imputa al contribuente i redditi che siano formalmente di un soggetto interposto, quando in base a presunzioni gravi, precise e concordanti risulti che il contribuente ne è l’effettivo titolare, senza che si debba distinguere tra interposizione fittizia o reale. A chiarirlo, la Suprema corte con la sentenza 15830/2016.
La vicenda
L’Agenzia delle Entrate, ai sensi del Dpr 600/1973, articolo 37, rettificava il reddito di una società, imputando a quest’ultima i redditi formalmente realizzati da una società controllata da un altro gruppo, sul presupposto che la stessa fosse un soggetto meramente interposto. Invero, all’epoca dei fatti, l’interposta era una società americana che, dopo aver acquisito da un’altra compagine i crediti che quest’ultima vantava nei confronti dell’erario italiano, costituiva una sua stabile organizzazione, cedendole i crediti acquisiti. La cessionaria, a titolo di corrispettivo, si accollava la restituzione di un finanziamento infruttifero erogato dalla società accertata alla cedente. Tale operazione non convinceva il Fisco, che contestava la natura reale del finanziamento, ritenendo che il profitto della cessione dei crediti fosse direttamente del soggetto, che lo avrebbe percepito sotto forma di restituzione del finanziamento.
La società impugnava l’avviso di accertamento, assumendo di essere estranea al guadagno connesso alla cessione dei crediti e di essere comunque residente e cittadino britannico e, dunque, di non trovarsi nella condizione di soggetto fiscale in Italia. La Commissione provinciale accoglieva solo parzialmente il ricorso; quella regionale, invece, riformava la statuizione di prime cure, ritenendo che i redditi andassero imputati alla società.
Il giudizio approda in Cassazione su ricorso dell’Agenzia, che lamenta, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione del Dpr 600/1973, articolo 37.
Decisione – ulteriori osservazioni
I giudici accolgono le doglianze dell’ufficio ritenendo che i fatti di causa evidenziassero, diversamente da quanto prospettato dai giudici di merito, un caso di interposizione fittizia ex Dpr 600/1973, articolo 37, comma 3, ossia l’interposizione nel possesso dei redditi. Secondo la Corte, i giudici hanno errato nell’escludere l’applicazione della norma “sostenendo la tesi che l’art. 37 si riferisce alla sola interposizione fittizia, e che, essendo invece la società LLC effettivamente esistente, non poteva ritenersi soggetto fittiziamente interposto”. Invero, puntualizza la Corte, “l’interposizione fittizia non richiede affatto l’inesistenza del soggetto interposto sia perché il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3 (“sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”) è norma, invece, che si riferisce a qualsiasi ipotesi di interposizione, anche a quella reale”.
In ambito giurisprudenziale, infatti, si registra sulla questione un orientamento ormai consolidato secondo cui, “in tema di accertamento rettificativo dei redditi, la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta. Di certo, il fenomeno della simulazione relativa, “nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali” (Cassazione 25671/2013, 21794/2014, 21952/2015). La norma intende stigmatizzare quelle operazioni volte ad aggirare la normativa fiscale, a prescindere dalla natura simulata o reale della stessa. Il fatto dunque che la società fosse reale e che avesse effettivamente acquistato i crediti, di per sé, non poteva costituire ragione per ritenere inapplicabile il Dpr 600/1973, articolo 37, che, secondo l’insegnamento costante di questa Corte, colpisce ogni uso improprio o ingiustificato di strumenti giuridici, pur di per sé legittimi, quando l’uso che se ne fa è volto a realizzare l’elusione.
Nell’interposizione soggettiva, l’interponente ricopre il vero ruolo di “dominus”, cioè di effettivo attore delle decisioni, mentre l’interposto appare come titolare di rapporti e rappresentanze giuridiche formali, ma si tratta, evidentemente, di una simulazione; i rapporti con i terzi sono regolati direttamente dall’interponente, o quanto meno, i terzi sono consapevoli, al di là delle apparenze formali, che è quest’ultimo il vero titolare nelle decisioni e nei rapporti con la controparte, assumendo così, a seconda dei casi, il ruolo di rappresentante, amministratore, procuratore, eccetera. In sostanza, “la persona interposta finge di intervenire nel contratto ma non è parte contrattuale. Essa è inattiva, passiva, senza volontà, non fa che prestare il suo nome … Nello scenario normativo, l’interposto colora soggettivamente la finzione che si prospetta come schermo derivante nei confronti del fisco”.
L’attribuzione dei redditi, prodotti (apparentemente) da un soggetto, all’effettivo titolare, si basa, come previsto dalla predetta norma, sulla possibilità di dimostrare, ancorché in modo presuntivo, che gli stessi si riferiscano a quest’ultimo. L’esperienza concreta dimostra che non è affatto semplice fornire la prova di un’interposizione soggettiva, anche se essa risulta certamente dal carattere presuntivo degli elementi posti a fondamento della contestazione. Di certo, uno dei casi in cui emerge con maggiore evidenza probatoria l’interposizione soggettiva è quello riveniente dalle indagini bancarie (rectius, finanziarie) su conti e rapporti intestati a soggetti terzi rispetto al contribuente interessato; con la circolare 32/2006, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che “l’estendibilità delle indagini ai conti di terzi, cioè di soggetti non interessati dall’attività di controllo, atteso che – per la costante giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo (da ultimo, Cassazione n. 2738/2001) – le citate disposizioni, utilizzando la locuzione i dati e gli elementi risultanti dai conti possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, legittimano anche l’apprensione di quei conti di cui il contribuente sottoposto a controllo ha avuto la concreta ed effettiva disponibilità, indipendentemente dalla formale intestazione”.
In tal senso si è espressa anche la Suprema corte, secondo cui l’occultamento di un reddito evaso sui conti intestati al coniuge deve essere considerato un espediente abituale da parte del contribuente (Cassazione 8683/2002), tanto che il solo vincolo di parentela sussistente tra i due legittima l’acquisizione di conti e rapporti intestati al soggetto terzo rispetto a quello verificato. La stessa Corte di cassazione ha comunque confermato che il principio sopra enunciato deve ritenersi valido anche nel caso di soggetti terzi, legati al contribuente verificato da rapporti di cointeressenza, rappresentanza, mandato, eccetera, più o meno formali (e, in specie, nelle compagini a ristretta base proprietaria, ove può esistere l’azionista o il socio unico). In tale contesto si è sempre sottovalutata l’importanza dei casi in cui è la società a fungere da mero “schermo” a favore dell’amministratore “occulto” o “di fatto”, il quale assai frequentemente risulta essere provvisto di delega a operare sui conti bancari societari, beneficiando così delle provviste illecite derivanti da eventuali operazioni evasive o fraudolente.
Inoltre, la sentenza 4423/2003 della Cassazione ha affermato che “legittimamente la Amministrazione può, quando deve procedere alla ricostruzione del reddito di un contribuente, utilizzare dati anche bancari acquisiti presso altri contribuenti, senza che sussista alcun obbligo di contestare tali dati al contribuente o agli estranei presso cui sono stati acquisiti … Se si afferma che i movimenti bancari formalmente intestati ad un terzo in realtà sono attribuibili all’imprenditore, si dovrà fornire la prova anche presuntiva di simile fatto. Così come si dovrà valutare anche in via presuntiva se le operazioni economiche documentate fra il terzo e l’imprenditore hanno inerenza alla attività di impresa, ad esempio perché intercorse tra imprenditori”. In definitiva, l’istituto dell’interposizione soggettiva di cui all’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973, rappresenta uno strumento decisivo nell’accertamento e nel contrasto di fenomeni di evasione e frode fiscale.