La sentenza del giudice civile sulla vendita simulata del complesso immobiliare è valida per accertare la commissione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Ad affermarlo, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 42966 del 26 ottobre 2015.
Il fatto e la decisione
La vicenda riguarda l’amministratore unico di una società di capitali, operante nel settore della gestione di alberghi e attività di ristorazione, imputato, fra l’altro, del reato di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000, perché, come emerso in seguito a verifica fiscale effettuata dall’Agenzia delle Entrate, si era avvalso, per evadere l’Iva, di una fattura di importo pari a 8 milioni e 200 mila euro, emessa da altra società per operazioni inesistenti e, inoltre, non aveva versato al fisco le somme dovute, negli anni 2007, 2008 e 2009, utilizzando in compensazione crediti Iva non spettanti o inesistenti.
I giudici d’appello hanno confermato il verdetto di primo grado e ritenuto inesistente la predetta fattura, relativa alla compravendita di un complesso immobiliare, risultato poi simulato, con sentenza non definitiva emessa dal Tribunale civile. In particolare, la cessione dell’immobile appariva inesistente alla stregua di una significativa serie di indici ritenuti univoci dal Tribunale, che aveva dichiarato la simulazione assoluta del negozio e la nullità assoluta dell’atto di trasferimento dei beni, cui era seguita l’emissione della fattura.
L’inesistenza del negozio era confermata dalla circostanza che la compravendita era avvenuta senza dazione effettiva di denaro posto che, contabilmente, il debito risultava saldato mediante artifizi contabili coinvolgenti “in conto finanziamenti infruttiferi” e il carattere fittizio dell’operazione era ulteriormente dimostrato dalla mancanza delle garanzie che, normalmente, vengono richieste dal venditore dei negozi immobiliari.
Nel giudizio di Cassazione, il ricorrente ha contestato la decisione della Corte d’appello che ha fondato il proprio convincimento circa l’inesistenza della vendita del complesso immobiliare su due rilievi:
- la sentenza del tribunale civile costituirebbe “forte indizio” nel senso della simulazione assoluta
- la tesi difensiva sarebbe stata “modificata” in sede penale adducendo, quale fittizia causale del negozio, una restituzione di somme mutuate tra parenti.
La Corte di cassazione ha confermato il verdetto di colpevolezza, con condanna al pagamento anche delle spese processuali. In particolare, secondo i supremi giudici, le argomentazioni svolte nella sentenza del Tribunale “non sono apparse in alcun modo scalfite dai rilievi difensivi essendosi precisato come la decisione del tribunale civile, in quanto appellata, non avesse valore di giudicato, ma fosse indubbio che la stessa costituisse un rilevante indizio nel senso dell’inesistenza dell’operazione cui apparentemente si riferiva la fattura… oggetto di imputazione”. Dunque, secondo la Corte, la sentenza emessa in sede civile non ha valore di giudicato, ma indubbiamente costituisce un rilevante indizio nel senso dell’inesistenza dell’operazione cui apparentemente si riferiva la fattura oggetto di imputazione.
Al riguardo, nel rigettare l’eccezione relativa alla carenza motivazionale della sentenza impugnata, i giudici di legittimità non si limitano a prendere atto della decisione civile, ma valutano anche gli elementi analizzati dai giudici nella predetta sede. Dall’analisi del giudizio civile è, infatti, emerso che la difesa di parte consisteva esclusivamente nel negare l’esistenza di un interesse dell’attore a far valere la simulazione; inoltre, nulla era stato documentato in merito a presunte restituzioni e/o prestiti che giustificherebbero la non dazione di denaro.
Invero, secondo la Corte, “in ogni caso, qualora il negozio immobiliare in discussione fosse stato reale, esso avrebbe costituito una operazione eccessiva rispetto allo scopo perseguito posto che, se… avesse realmente vantato il credito…, la disponibilità dell’immobile nel patrimonio della società avrebbe certamente rappresentato sufficiente garanzia dell’adempimento, risultando pertanto evidente come l’operazione immobiliare in questione fosse del tutto fittizia e costituisse, in realtà, solo un espediente, come affermato anche dal giudice civile, per distrarre dal patrimonio…un complesso di beni immobili costituenti garanzia per i creditori”.
La Corte di cassazione ha rigettato anche il secondo motivo di gravame relativo alla consapevolezza del ricorrente circa la natura fittizia della fattura emessa dalla società supposta venditrice nei confronti della società apparentemente acquirente, della quale il ricorrente era amministratore. I giudici di legittimità condividono, pertanto, la decisione della Corte d’appello secondo cui il ricorrente non poteva non avere la consapevolezza della fondamentale circostanza che la fattura era stata emessa a fronte di un’operazione inesistente, in quanto l’imputato era amministratore della società dal 2002 ed era intervenuto in tale sua veste alla stipula dell’atto notarile. Nel caso in esame, l’imputato aveva certamente la consapevolezza dell’inesistenza dell’operazione negoziale, posto che alcuna somma era stata corrisposta al simulato alienante e alcun bene era stato realmente trasferito al simulato acquirente.
Oltre ai profili emersi nella sentenza in commento, si osserva che in merito al negozio simulato in ambito tributario si rintracciano molteplici pronunce della Cassazione che riconoscono al giudice il potere di valutare incidentalmente tutte le questioni decisive per la soluzione della controversia a lui devoluta, anche se per loro natura estranee alla sua giurisdizione. La Cassazione ha inoltre più volte affermato, con principio di valenza generale, che l’ufficio finanziario ha il potere di accertare la sussistenza della eventuale simulazione di un contratto, in grado di pregiudicare il diritto dell’amministrazione alla percezione dell’esatto tributo, senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione da parte del giudice civile, spettando poi al giudice tributario, in caso di contestazione, il potere di controllare “incidenter tantum“, attraverso l’interpretazione del negozio ritenuto simulato, l’esattezza di tale accertamento, al fine di verificare la legittimità della pretesa tributaria (cfr Cassazione, sentenze nn. 11676/2002, 9389/2007, 11162/2010 e 25017/2010).