razionalizzazione societa partecipateCon sentenza n. 4688 dell’11 novembre 2016, la V Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata in merito alla sussistenza del presupposto dell’obbligo di dismissione di partecipazioni pubbliche di cui all’articolo 3, comma 27, della Legge n. 244/2007.

 

Nella complessità di queste combinazioni tra forme giuridiche eterogenee e di originaria diversa finalità, al centro sta il tema dell’ampiezza delle deroghe per esigenze pubblicistiche alle forme di controllo societario di diritto comune. La complessità della tematica indica comunque che per un’autorità amministrativa ciò che rileva e che giustifica una sua partecipazione al capitale di una societàè la funzionalizzazione dello strumento societario alle proprie ragioni d’ufficio: sicché ciò che conta è soprattutto il tipo di indirizzo o di influenza che sulla società l’ente pubblico può davvero esercitare per assicurarne l’irrinunziabile coerenza con le proprie finalità istituzionali.

 

Al riguardo, i giudici amministrativi chiariscono che ai fini della valutazione della sussistenza del presupposto dell’obbligo di dismissione contenuto nella Legge finanziaria 2008 l’ente locale deve avere esclusivo riguardo al tipo di attività svolta dalla società partecipata e non anche all’entità della partecipazione in essa.

 

Va sottolineato che la massimizzazione del ricavo ritraibile come corrispettivo per la cessione è in realtà l’obiettivo che qualsiasi soggetto pubblico titolare di partecipazioni in forme societarie è tenuto a perseguire in forza dei principi sempre validi in caso di alienazione di cespiti patrimoniali: la concorrenza riguardo a beni di titolarità pubblica collocati sul mercato deve svolgersi in modo pieno ed effettivo, non artificialmente distorta da un’indebito deprezzamento dei beni oggetto di dismissione, quand’anche quest’ultimo possa assicurare un esito positivo della gara e l’acquisizione di un nuovo socio privato.

 

Per quanto concerne invece il criterio del massimo rialzo, l’incensurabilità della scelta della Provincia si pone in termini altrettanto evidenti, dal momento che si tratta del criterio usualmente adottato per l’aggiudicazione di contratti attivi, dai quali l’amministrazione si propone di reperire un’entrata di carattere patrimoniale quale corrispettivo della cessione.

 

In particolare, il criterio del massimo rialzo è funzionale a stimolare la competizione dei privati interessati all’acquisto sulla base minima data dal valore di mercato delle azioni oggetto di dismissioni, mentre l’opposto criterio, propugnato dall’appellante, del massimo ribasso, finirebbe in modo paradossale per premiare l’offerta peggiore per l’amministrazione.

 

In allegato il testo della Sentenza.