Black list al passo con i tempi: i provvedimenti ufficializzati ieri vanno a modificare la materia, disciplinata da due Dm datati rispettivamente 2001 e 2002, ridisegnando la piantina dei territori per i quali vigono le limitazioni alla deducibilità dei costi (articolo 110, comma 10, del Tuir) e di quelli rientranti nella disciplina delle controlled foreign companies (articolo 167 del Tuir).
Sono due i decreti del ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblicati ieri nella G.U., con cui sono state aggiornate le black list.
Quello del 27 aprile 2015 rinnova il precedente Dm 23 gennaio 2002, che individua gli Stati e i Territori con regime fiscale privilegiato in riferimento all’articolo 110, comma 10, del Tuir (“Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis. Tale deduzione è ammessa per le operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in Stati dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al citato decreto”).
Il precedente decreto fissava come parametro anche l’esistenza di una tassazione sensibilmente inferiore, ma la legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 678, legge 190/2014) ha previsto che l’unico criterio rilevante ai fini della black list sulla “indeducibilità dei costi” relativi a transazioni effettuate con giurisdizioni estere sia la mancanza di un adeguato scambio di informazioni con l’Italia.
Permane la suddivisione tra paradisi fiscali “puri”, “con eccezioni” e “limitatamente a determinate tipologie societarie”.
La nuova lista dei paradisi fiscali “puri” comprende: Andorra, Bahamas, Barbados, Barbuda, Brunei, Gibuti (ex Afar e Issas), Grenada, Guatemala, Hong Kong, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Vergini statunitensi, Kiribati (ex Isole Gilbert), Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Maldive, Nauru, Niue, Nuova Caledonia, Oman, Polinesia francese, Saint Kitts e Nevis, Salomone, Samoa, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Sant’Elena, Sark (Isole del Canale), Seychelles, Tonga, Tuvalu (ex Isole Ellice), Vanuatu. Non ne fanno più parte né la Malesia né le Filippine.
Paradisi fiscali “con eccezioni” sono invece il Bahrein (escluse le società che operano nel settore petrolifero) e Monaco (escluse le società che realizzano almeno il 25% del fatturato al di fuori del Principato). Escono dalla lista gli Emirati Arabi Uniti e Singapore.
Per quanto riguarda infine l’elenco dei paradisi fiscali limitatamente a determinate “tipologie societarie”, ne vengono tirati fuori Costarica e Mauritius.
Il decreto 30 marzo 2015, invece, aggiorna il Dm 21 novembre 2001, modificando l’elenco degli Stati e territori che non consentono un adeguato scambio di informazioni e che hanno un livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, cioè – come chiarito dall’ultima Stabilità – inferiore al 50% di quello “nostrano”, e in riferimento ai quali vige la disciplina delle Cfc.
Sono escluse dalla lista Filippine, Malesia e Singapore. Inoltre, l’abrogazione dell’articolo 3 del Dm del 2001 comporta l’eliminazione di quegli Stati per i quali le regole Cfc si applicavano limitatamente a particolari soggetti o attività (Angola, Antigua, Costarica, Dominica, Ecuador, Giamaica, Kenia, Mauritius, Panama, Portorico, Svizzera, Uruguay).