macnati-pagamenti della paStretta sugli imprenditori che non pagano le cartelle di pagamento. Arrivano modifiche importanti dalla nuova Legge di bilancio.


 

L’art. 82 del testo definitivo del disegno di legge di bilancio 2018 modifica l’articolo 48-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, riducendo da diecimila a cinquemila euro l’importo del pagamento per il quale le amministrazioni pubbliche e le società a prevalente partecipazione pubblica, devono preventivamente verificare, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento.

 

 

Si tratta di una previsione voluta, a suo tempo, dal legislatore per un miglioramento del conto economico consolidato dello Stato, anche al fine del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di Unione europea e, in particolare, al rispetto del «Patto di stabilità e crescita» previsto dalla risoluzione del Consiglio Europeo di Amsterdam del 17 giugno 1997 (pubblicata sulla G.U.C.E. n. C 236 del 2 agosto 1997).

 

 

Dal 1° marzo 2018, le pubbliche amministrazioni, in c  aso di mancati pagamenti di cartelle per importi superiori a cinquemila euro (anziché i vecchi diecimila), non possono procedere al pagamento e devono segnalare la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo.

 

L’abolizione di Equitalia ed il passaggio delle sue funzioni ad Agenzia delle Entrate – Riscossione non ha ancora prodotto alcun reale vantaggio agli imprenditori in difficoltà economiche e questa innovazione legislativa finirà per rendere più grave la loro situazione.

 

Il blocco dei pagamenti e la segnalazione ad Agenzia delle entrate-Riscossione non si applicano alle aziende o società per le quali sia stato disposto il sequestro o la confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ovvero della legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero che abbiano ottenuto la dilazione del pagamento ai sensi dell’articolo 19 del presente decreto.

 

Il soggetto pubblico non procede al pagamento delle somme dovute al beneficiario fino alla concorrenza dell’ammontare del debito comunicato per i sessanta giorni successivi a quello della comunicazione.

 

Prima dell’intervento della legge di stabilità 2018, il termine era fissato in soli trenta giorni.

 

Qualora il pagamento sia relativo a crediti a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità riguardanti il rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, pignorabili per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato (art. 545, terzi commi, c.p.c.), il soggetto pubblico sospende il pagamento nei limiti di un quinto, così come avviene per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni.

 

Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, l’importo di cui al comma 1 può essere aumentato, in misura comunque non superiore al doppio, ovvero diminuito.

 

Per il MEF non esistono ipotesi di esenzione esclusivamente fondate su criteri soggettivi, attesa l’ampia e generica definizione di «beneficiario» contenuta nella norma e nel regolamento di attuazione.

 

La norma, però, non trova applicazione per i pagamenti disposti a favore delle Amministrazioni Pubbliche ricomprese nell’elenco predisposto annualmente dall’ISTAT e, comunque, tra le diverse Amministrazioni Pubbliche.

 

Per quanto riguarda i pagamenti ci si riferisce all’adempimento di un obbligo contrattuale e, comunque, ad un atteso versamento di natura privatistica.

 

La norma non si applica al semplice trasferimento di somme che, pur transitando per la Pubblica Amministrazione, non costituisce, tuttavia, un vero e proprio pagamento (ad esempio i trasferimenti in base a progetti co-finanziati dall’Unione europea o, ancora, a clausole di accordi internazionali).

 

Per evidenti ragioni di preminente pubblico interesse o di tutela di diritti fondamentali della persona, tra gli «esborsi» esclusi dall’obbligo di verifica, si ritiene possano essere sicuramente annoverati, a titolo esemplificativo, il versamento di tributi o contributi assistenziali e previdenziali, i rimborsi di spese sanitarie relative a cure rivolte alla persona, la corresponsione di indennità connesse allo stato di salute della persona.

 

La soglia di cinquemila euro è da riferirsi al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali. In caso di pagamento di somme assoggettate per legge a ritenuta fiscale alla fonte (ad esempio correlate a prestazioni di lavoro autonomo), la soglia va intesa riferita all’importo da pagare al netto delle ritenute effettuate.

 

Onere della Pubblica Amministrazione è  quello di controllare che non siano stati posti in essere artificiosi frazionamenti di un unico pagamento, idonei ad eludere l’obbligo di verifica.

 

Ad esempio, nell’ipotesi di appalto di lavori, il pagamento coinciderà con gli stati di avanzamento lavori (SAL) e con il saldo finale, mentre nei contratti di fornitura di beni o servizi con cadenza periodica varrà il criterio del pagamento dei beni o servizi di volta in volta forniti. Qualsiasi credito, indipendentemente dalla sua natura e dall’Ente creditore, esposto in cartella, rientra nell’ambito operativo dell’art. 48-bis.

 

In caso di pagamento rateizzato, l’art. 48-bis non trova applicazione per carenza del presupposto relativo all’inadempimento dell’obbligo di versamento scaturente da una cartella di pagamento.

 

In caso di ricorso avverso la cartella di pagamento, va rilevato che la sua mera proposizione non sospende automaticamente il provvedimento. La sospensione può essere, ad esempio, concessa dalla Commissione Tributaria, in caso di lite fiscale, previa verifica della sussistenza del fumus boni iuris e del danno grave ed irreparabile.

 

Per quanto afferisce alla diversa ipotesi di avvenuto deposito di una sentenza favorevole al contribuente, si ritiene che, anche nelle more dell’emanazione del dovuto provvedimento di sgravio, la circostanza sia idonea, qualora adeguatamente dimostrata, a consentire l’effettuazione del pagamento.