Con la sentenza del 5 aprile 2017, resa nelle cause riunite C‑217/15 e C‑350/15, la Corte di giustizia si è pronunciata sulla portata del principio del ne bis in idem in base ala quale nessuno può essere giudicato o punito due volte per lo stesso fatto.
In particolare, i giudici europei hanno chiarito l’applicabilità del predetto principio, in ambito Iva, con riguardo all’ipotesi in cui dopo l’irrogazione ad una società dotata di personalità giuridica di una sanzione tributaria definitiva per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, per il medesimo fatto, sia avviato un procedimento penale nei confronti del legale rappresentante della medesima società.
Il caso e la questione pregiudiziale
I legali rappresentanti di due società sono imputati dinanzi all’Autorità giudiziaria per il reato di omesso versamento dell’Iva (art. 10-ter e 10-bis del decreto legislativo n. 74/2000) in quanto avrebbero omesso di versare, entro i termini previsti dalla legge, Iva per un ammontare superiore ad un milione di euro, dovuta in base alla dichiarazione annuale. Tali procedimenti penali erano avviati dopo la denuncia dell’Amministrazione finanziaria che procedeva all’accertamento del debito tributario e della irrogazione della relativa sanzione nella misura del 30% per cento dell’importo dovuto a titolo di Iva.
Il rinvio alla Corte di giustizia
In tale contesto, l’Autorità giudiziaria, sospendeva i procedimenti penali e chiedeva alla Corte di giustizia di chiarire se ai sensi degli articoli 4 del protocollo n. 7 alla CEDU e 50 della Carta, che sanciscono il principio del ne bis in idem, sia conforme al diritto dell’Unione la disposizione di cui all’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000 nella parte in cui consente di procedere alla valutazione della responsabilità penale di un soggetto il quale, per lo stesso fatto (omissione del versamento dell’Iva), sia già stato destinatario di un accertamento definitivo da parte dell’Amministrazione finanziaria dello Stato, con irrogazione di una sanzione amministrativa.
La pronuncia della Corte
I Giudici europei hanno affermato la compatibilità della normativa nazionale. Secondo la Corte, infatti, l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che consente di avviare procedimenti penali per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dopo l’irrogazione di una sanzione tributaria definitiva per i medesimi fatti, qualora tale sanzione sia stata inflitta ad una società dotata di personalità giuridica, mentre detti procedimenti penali sono stati avviati nei confronti di una persona fisica. L’iter logico giuridico argomentativo della Corte si fonda unicamente Carta dei diritti fondamentali dell’Ue che, come è noto, ai sensi dell’articolo 6 del TUE ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Ciò, in quanto, precisa la Corte – coerentemente alla giurisprudenza consolidata dell’Unione – anche se, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e anche se l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta prevede che i diritti in essa contemplati corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU hanno lo stesso significato e la stessa portata di quelli loro conferiti dalla suddetta convenzione, quest’ultima non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione.
Al fine di risolvere la questione pregiudiziale sottopostale la Corte, quindi, chiarisce che le sanzioni tributarie ed i procedimenti penali aventi ad oggetto reati in materia di Iva e volti ad assicurare l’esatta riscossione di tale imposta e ad evitare le evasioni, costituiscono un’attuazione degli articoli 2 e 273 della direttiva 2006/112, nonché dell’articolo 325 TFUE e, quindi, del diritto dell’Unione. Pertanto, le disposizioni di diritto nazionale che disciplinano procedimenti penali aventi ad oggetto reati in materia di Iva rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 50 della Carta. Ciò posto, la Corte precisa che l’applicazione del principio del ne bis in idem presuppone che sia la stessa persona ad essere oggetto delle sanzioni o dei procedimenti penali avviato per il medesimo fatto. Tale interpretazione dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali Ue – precisano i giudici dell’Unione – è confermata dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, richiamata dalla giurisprudenza consolidata della Ue, secondo cui detto principio non può, in ogni caso, essere violato se non è la stessa persona ad essere stata sanzionata più di una volta per uno stesso comportamento illecito.
Le conclusioni della Corte Ue
Nel predetto presupposto, riguardo la fattispecie concreta in esame, nella quale le sanzioni tributarie erano inflitte a due società dotate di personalità giuridica, mentre i procedimenti penali riguardano due persone fisiche, la Corte conclude che la sanzione tributaria ed i procedimenti penali riguardano persone distinte. Ne consegue, che manca la condizione per l’applicazione del principio del ne bis in idem secondo la quale la stessa persona deve essere oggetto delle sanzioni e dei procedimenti penali. Il fatto di infliggere sia sanzioni tributarie che sanzioni penali non costituisce, peraltro, una violazione del principio del ne bis in idem, anche avuto riguardo all’articolo 4 del protocollo n. 7 alla CEDU, qualora le sanzioni di cui trattasi riguardino persone, fisiche o giuridiche, giuridicamente distinte.