Le condizioni di salute del ricorrente, benché non buone, non erano tali da privarlo della necessaria capacità mentale per svolgere la funzione di amministratore di un’impresa. La Corte di cassazione, terza sezione penale, afferma, nella sentenza n. 35630 del 29 agosto 2016, che problemi psichici e di tossicodipendenza non sono una scusa utile per scagionare l’imputato indagato per omessa presentazione delle dichiarazioni Iva, il quale sostenga di essere stato un semplice prestanome raggirato e indotto a compiere illeciti contro la sua volontà.
La lite
Un contribuente veniva condannato in primo grado alla pena della reclusione per il reato di omessa presentazione, quale legale rappresentante di una società, delle dichiarazioni Iva e dei redditi (articolo 5 del Dlgs 74/2000) per due periodi di imposta. La Corte d’appello confermava il verdetto, salvo che per la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato per uno dei periodi di imposta.
L’imputato, a questo punto, ricorre in Cassazione per vizi di motivazione della sentenza impugnata, sostenendo di avere rivestito nella vicenda soltanto un ruolo di prestanome, raggirato e indotto a compiere illeciti contro la sua volontà. In particolare, in quanto “soggetto vulnerabile e affetto da una grave dipendenza da sostanze stupefacenti e dall’alcool”. Dunque, sarebbe stato “attirato” da estranei in un’architettata “trappola” rappresentata da un lavoro per sostentarsi. In sostanza, l’imputato sarebbe stato “preso in braccio” e truffato, essendo stato indotto a commettere reati che non avrebbe potuto in alcun modo evitare.
La decisione
La suprema Corte, decidendo la vertenza, respinge senza esitazione il ricorso dell’indagato, trattandosi di censura motivazionale del tutto inconsistente sul piano fattuale. Ragione che ha aggravato l’addebito delle complessive spese del giudizio, proprio per il fatto che il ricorso è stato presentato – spiega il giudice di legittimità – “senza versare in colpa nella dichiarazione della causa di inammissibilità”.
Nello specifico, chiarisce innanzitutto la sentenza 35630/2016, il giudice di merito (con valutazione congrua e coerente) ha tenuto conto delle condizioni di disagio personale in cui versava l’imputato al momento dei fatti, applicando la misura minima della pena con le attenuanti generiche. Ma, sul piano fiscale, non si può andare oltre. La Corte territoriale, infatti, ha affrontato la questione osservando che le condizioni di salute del ricorrente, benché non buone, non erano tali da renderlo addirittura “privo della consapevolezza di operare non presentando la dichiarazione dei redditi e di quella a fini IVA”. Né l’indagato mancava della necessaria capacità mentale per svolgere la funzione di amministratore di un’impresa.
Il contribuente non ha, altresì, dimostrato che la violazione era stata commessa per essere stato affetto da infermità di natura così grave da escludere del tutto la capacità di intendere e di volere (l’articolo 4 del Dlgs 472/1997 esenta dalla sanzione chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere). Quindi l’accusato era “capace” e, perciò, imputabile (ex articolo 85, comma 2, codice penale). E, per dimostrare che l’imputato non era soltanto un prestanome incapace di accorgersi della situazione in cui era venuto a trovarsi, il giudice del riesame – spiega la sezione penale – valorizza addirittura il fatto che l’indagato non abbia mai indicato i nominativi delle persone per le quali egli avrebbe operato come prestanome.
In linea generale, ricordiamo che, ai sensi degli articoli 1 e seguenti del Dpr 600/1973, sono tenuti a presentare le dichiarazioni fiscali tutti coloro che hanno percepito, nel periodo di imposta, redditi imponibili. Imprenditori e professionisti sono obbligati alla presentazione anche in assenza di redditi o in presenza di perdite. Soggiacciono, inoltre, a tale obbligo i soggetti dotati di capacità d’agire nel senso generale del diritto, come eredi, tutori, rappresentanti legali del minore e di soggetto incapace, per i redditi da questi ultimi percepiti.
Ne consegue, pertanto, che nel caso concreto, quand’anche l’imputato fosse stato “privo della consapevolezza di operare”, non per questo sarebbe andato esente dall’obbligo di presentare le dichiarazioni Iva e dei redditi all’Agenzia delle Entrate, potendovi provvedere – su suo incarico – i soggetti indicati nell’articolo 3 del Dpr 322/1998 o chi per esso vi fosse tenuto per legge. Infatti, si considerano incaricati della trasmissione delle dichiarazioni in via telematica:
- gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro
- gli iscritti nei ruoli dei periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio per la subcategoria tributi
- gli iscritti negli albi degli avvocati
- gli iscritti nel registro dei revisori contabili
- le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori
- le associazioni che raggruppano prevalentemente soggetti appartenenti a minoranze etnico-linguistiche
- i Caf dipendenti e i Caf imprese
- i notai iscritti nel ruolo indicato nell’articolo 24 della legge 89/1913
- coloro che esercitano abitualmente l’attività di consulenza fiscale
- gli iscritti negli albi dei dottori agronomi e dei dottori forestali, degli agrotecnici e dei periti agrari.