Cittadini britannici attenti, una tassa si aggira per l’Europa. Per l’Ocse, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea avrà effetti negativi di enorme portata. Primo fra tutti, nel periodo compreso tra il 2016 e il 2020, la riduzione del Pil del 3%. Detto in soldoni, solo nel breve termine la Brexit comporterà una spesa di 2.200 sterline per nucleo familiare.
I tre differenti scenari ipotizzati dall’Ocse
Nel lungo termine, invece, gli effetti della Brexit sono stati immaginati dall’Ocse secondo tre differenti scenari: ottimista, intermedio e pessimistico. Nel primo caso, l’impatto negativo sul Pil sarebbe di circa il 2,7% entro il 2030, in quello intermedio intorno al 5%, e nello scenario pessimistico superiore al 7,5%.
In pratica, lo studio dell’Ocse sostiene che il contraccolpo della vittoria del “No” sul tenore di vita e sul bilancio familiare dei sudditi di sua maestà Elisabetta avrebbe lo stesso impatto di una vera e propria “Brexit tax”. In un discorso tenuto alla London School of Economics, il segretario generale Angel Gurría ha presentato lo studio sul referendum del 23 giugno usando queste parole: “Lasciare l’Europa imporrebbe una “Brexit tax” che verrebbe pagata dalle prossime generazioni. Invece di finanziare i servizi pubblici, questa tassa sarebbe una perdita secca e non produrrebbe alcun beneficio economico. E questa imposta non sarebbe una tassa una tantum. I cittadini britannici la dovranno pagare per molti anni.”
Mercato unico e commercio estero
Il rapporto realizzato dai tecnici dell’Ocse affronta gli effetti di una decisione britannica di lasciare l’Unione europea sotto diversi profili. Innanzitutto, lo studio sottolinea che nel periodo compreso tra il 23 giugno (la data in cui si terrà il voto popolare) e quello in cui le modalità del “divorzio” saranno definitivamente decise, ci sarà un inevitabile aumento dell’incertezza economica, con conseguenze dannose per tutti gli attori in campo. La fiducia dei consumatori scenderebbe, come pure la fiducia delle imprese e i livelli degli investimenti, mettendo sempre più a rischio le prospettive di crescita.
Una volta lasciata l’Unione europea, inoltre, il Regno Unito dovrebbe negoziare nuovi rapporti commerciali con gli Stati europei. Non solo. Oltre a rinunciare a un accesso diretto e automatico al mercato unico europeo, Londra perderebbe pure i vantaggi derivanti dagli accordi commerciali che l’Ue ha stretto con 53 mercati, accordi che la stessa Gran Bretagna ha aiutato a realizzare.
Gurrìa ha voluto sgombrare il campo da equivoci. “Ci rendiamo conto che le considerazioni economiche non sono le uniche da prendere in esame per decidere se votare per rimanere o per uscire dall’Ue e che spetta al popolo britannico pesare i diversi pro e contro. La nostra conclusione è inequivocabile. Il Regno Unito è molto più forte facendo parte dell’Europa unita, e l’Europa è molto più forte se ha dalla sua il Regno Unito come forza trainante. Nessuno dovrebbe pagare la tassa Brexit.”
In ogni caso, prima di votare Si o No, gli elettori inglesi dovrebbero riflettere anche sul comportamento futuro dei partner commerciali extra-Ue in caso di Brexit. La negoziazione di accordi a particolari condizioni di favore per il Regno Unito non sarebbe esattamente una priorità per questi partner. Il peso di Londra da solo, è la considerazione di una semplicità ed ovvietà disarmante, non può equivalere a quello di tutte le capitali europee messe insieme.
Una reazione a catena, dalla Manica al Vecchio Continente
Il referendum di giugno avrà conseguenze non solo per il Regno Unito, ma anche per il resto dell’Unione. Per questo gli analisti guidati da Angel Gurrìa ritengono che la responsabilità di cui devono farsi carico gli elettori britannici il 23 giugno è davvero significativa e va oltre i confini della Gran Bretagna. Anzi, a sentire l’Ocse, il voto sarà anche un vero e proprio atto di responsabilità tra generazioni.
Parlando delle ricerche realizzate sulla Brexit da diversi enti e istituzioni (per dire le due più autorevoli, il Tesoro e la Confindustria del Regno Unito), il segretario generale ha affermato che, utilizzando modelli teorici diversi, questi studi possono portare a stime differenti dei costi dell’uscita dall’Ue. “Ma i risultati sono quantitativamente e qualitativamente identici”, ha rimarcato Gurrìa, “con la Brexit, il Regno Unito starebbe peggio e le nostre stime sono fin troppo prudenti”