Notifica dell’appello tramite Pec: ok anche con primo grado cartaceo. Basta la mera indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata nel ricorso introduttivo per rendere operativo il relativo indirizzo come “elezione di domicilio digitale”.
È valida la notifica dell’atto di appello a mezzo Pec, anche in caso di primo grado del giudizio svolto con modalità cartacea. Così si espressa la Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza del 20 aprile 2018, n. 780/6/2018, superando un proprio clamoroso precedente (sentenza, 1377/5/2017).
In senso conforme, la sentenza della Ctr Campania dell’8 maggio 2018, n. 4332/5/2018, ha precisato che è sufficiente la mera indicazione dell’indirizzo Pec nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per rendere operativo ope legis il relativo indirizzo come “elezione di domicilio digitale“, ai fini della valida notifica mediante Pec dell’atto di appello.
La decisioni dei giudici di merito
Le sentenze in commento trattano due casi in cui è stata eccepita dal contribuente, al momento della costituzione in giudizio in secondo grado, l’inammissibilità dell’appello per inesistenza della notifica effettuata a mezzo Pec, in caso di primo grado del giudizio svolto con modalità cartacea.
Dal 15 luglio 2017, il processo tributario telematico è attivo in tutto il Paese e, quindi, presso tutte le Commissioni tributarie, le parti hanno la facoltà, previa registrazione al Sistema informativo della giustizia tributaria (Sigit) di utilizzare la posta elettronica certificata per la notifica del ricorso, anche in appello, e di effettuare il successivo deposito in via telematica degli atti e documenti del processo.
Con circolare dell’11 maggio 2016, n. 2/Df, il ministero dell’Economia e delle finanze, al paragrafo 1.1, ha chiarito che in base al principio di facoltatività “…ciascuna delle parti può scegliere di notificare e depositare gli atti processuali con le modalità tradizionali, ovvero con quelle telematiche presso le Commissioni tributarie ove risultino attivate tali modalità. In sostanza, la parte resistente, indipendentemente dalla scelta operata dal ricorrente, ai sensi dell’articolo 16-bis del D.Lgs. n. 546/1992, ha la facoltà di avvalersi delle modalità telematiche di deposito delle controdeduzioni e relativi documenti allegati. Ne deriva che anche in presenza di ricorsi/appelli notificati e depositati con modalità tradizionali (ufficiale giudiziario, a mezzo posta ovvero a sportello) la parte resistente potrà scegliere di avvalersi del deposito telematico degli atti processuali, senza precludere la validità del deposito“.
L’articolo 16-bis, comma 3, del Dlgs 546/1992, in vigore dal 1° gennaio 2016, consente a ciascuna parte di avvalersi delle modalità telematiche di notifica e deposito di atti processuali, secondo le disposizioni contenute nel decreto Mef 163/2013 e dei successivi decreti di attuazione.
Ciò premesso, la Ctr Toscana, con la sentenza n. 780/6/2018, ritenendo di non poter condividere la precedente pronuncia n. 1377/5/2017 resa dalla stessa Commissione, ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello notificato a mezzo Pec, sostenendo che il Dm 163/2013 non prevede alcuna preclusione alla possibilità di scegliere in grado di appello se adottare o meno le modalità telematiche.
Al contrario, nelle “Definizioni” di cui all’articolo 1, si precisa che per “ricorso” si intende sia il ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale che quello proposto alla Ctr. Secondo la Ctr Toscana, quindi, il ricorrente in appello può legittimamente scegliere le modalità di notifica e deposito degli atti processuali, indipendentemente dalle modalità adottate in primo grado, fermo restando chiaramente l’obbligo prescritto dal terzo comma dell’articolo 2 del Dm 163/2013, ove si prevede che “la parte che abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche di cui al presente regolamento è tenuta ad utilizzare le medesime modalità per l’intero grado del giudizio nonché per l’appello, salvo sostituzione del difensore“.
Inoltre, aggiungono i giudici toscani, l’articolo 13 del citato Dm stabilisce che “per la costituzione in giudizio e il deposito mediante il S.I.Gi.T. degli atti e documenti riferiti al giudizio d’appello…valgono le medesime modalità indicate negli articoli 10, 11 e 12“, senza, quindi, stabilire alcuna propedeuticità o obbligo rispetto alle modalità utilizzate in primo grado.
A supporto del proprio convincimento, la Ctr Toscana richiama altresì la pronuncia della Ctr Lombardia del 5 dicembre 2017, n. 5082/1/2017, in cui è stato stabilito che la notifica dell’appello, eseguita tramite Pec addirittura prima dell’attivazione del processo tributario telematico nella realtà territoriale di riferimento, è soltanto nulla, in quanto “la notifica è stata effettuata in una forma legislativamente prevista ed atta ad assicurare la conoscenza dell’atto da parte del suo destinatario“, e quindi è sanabile per raggiungimento dello scopo quando la controparte si è regolarmente costituita senza contestare alcun pregiudizio al proprio diritto di difesa.
Anche la Ctr Campania, con la sentenza n. 4332/5/2018, ha ritenuto valida la notifica dell’atto di appello a mezzo Pec, in caso di primo grado svolto con modalità cartacea, sostenendo che l’unico vincolo prescritto dalla normativa che disciplina il processo tributario telematico, con riguardo alle modalità di deposito e notifica di atti processuali, sia quello stabilito dal terzo comma dell’articolo 2 del Dm 163/2013, ove la parte abbia optato per il mezzo telematico in primo grado.
La Ctr Campania precisa, inoltre, che, ai fini della valida notifica a mezzo Pec dell’atto di appello, non occorre un’espressa elezione di domicilio, ma è sufficiente la mera indicazione dell’indirizzo Pec nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per rendere operativo ope legis il relativo indirizzo come “elezione di domicilio digitale“.
A tale conclusione i giudici campani sono giunti richiamando l’articolo 6 del medesimo decreto, che disciplina l’elezione di domicilio digitale ai fini delle comunicazioni e delle notificazioni telematiche, stabilendo al comma 1 che “l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata di cui all’articolo 7, ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, contenuta nel ricorso introduttivo o nell’istanza di reclamo e mediazione notificati tramite PEC, equivale ad elezione di domicilio digitale ai fini delle comunicazioni e notificazioni telematiche“.
È appena il caso di sottolineare che anche l’articolo 16-bis, comma 4, del Dlgs 546/1992 – in vigore dal 1° gennaio 2016 – stabilisce che “L’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata valevole per le comunicazioni e le notificazioni equivale alla comunicazione del domicilio eletto“.
Secondo i giudici campani, quindi, è valida la notifica dell’atto di appello all’indirizzo Pec indicato nel ricorso di primo grado, anche se cartaceo e ancorché non vi sia stata un’espressa elezione di domicilio digitale.