Destano perplessità e preoccupazione le indicazioni interpretative contenute nella Delibera n. 27/2013 della Corte dei Conti, sez. Autonomie, relativa al coordinamento delle varie disposizioni che regolano il contenimento della spesa di personale e le assunzioni negli Enti Locali.
In premessa occorre fare una breve ricostruzione dell’apparato normativo.
In origine, il comma 557 dell’articolo unico della legge n. 296/2006 ha previsto l’obbligo a carico degli enti locali di assicurare “la riduzione delle spese di personale…garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale .. con azioni da modulare nell’ambito della propria autonomia…rivolte…ai seguenti ambiti…:
a) riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti…;
b) razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative…;
c) contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa…”
Il principio di contenimento della spesa di cui al suddetto comma 557 – che, si badi bene, non prevede alcun obbligo puntuale di ridurre la spesa di personale rispetto al precedente anno ma delinea, appunto, un principio – è stato inizialmente interpretato dalla Corte dei Conti sez. Autonomie, con le Delibere 2 e 3 del 2010, come un obbligo di ridurre la spesa per il personale in maniera progressiva e costante e “con riferimento alla spesa di personale dell’anno immediatamente precedente.”.
Successivamente, l’obbligo di riduzione della spesa di personale recato dal comma 557 è stato gradualmente affiancato da ulteriori norme di legge, le quali hanno introdotto limiti sempre più specifici, alle facoltà assunzionali e di spesa degli enti locali: limiti al turn over – bloccato al 40% – e limiti all’incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente – che deve essere non superiore al 50% – (cfr: art. 76 del decreto legge n. 112/2008, come successivamente modificato), limiti sulle spese per contratti flessibili – da ridurre del 50% rispetto al 2009 – limiti alla contrattazione decentrata e al trattamento economico dei dipendenti – bloccati al 2010 – (cfr: art. 9, commi 1, 2 bis e 28 del decreto legge n. 78/2010).
Per effetto dell’applicazione di tali norme si produce una inevitabile e progressiva riduzione della dinamica retributiva ed occupazionale (rectius: spesa per il personale), al di là di ogni possibile discrezionalità amministrativa esercitata dagli enti locali; in buona sostanza l’attuazione del comma 557 non è più rimessa all’autonomia delle singole amministrazioni ma è disciplinata compiutamente dalle legge, ossia dalle sopravvenute norme che hanno imposto vincoli puntuali a singole voci di spesa.
Di ciò tuttavia non tiene assolutamente conto la Corte nella Delibera n. 27/2013.
La Corte, infatti nella Delibera in oggetto richiama gli orientamenti espressi nelle Delibere 2 e 3 del 2010 e ne ribadisce la validità, nonostante il mutato quadro normativo; nell’attribuire alle indicazioni interpretative già espresse un valore assoluto e vincolante, finisce per approdare ad una lettura del quadro normativo complessivo che va ben oltre il dato letterale e si traduce in vincoli più restrittivi rispetto a quelli imposti dal legislatore.
Secondo la Corte, infatti, il comma 557 va comunque interpretato (al di là di ogni evidenza letterale e sistematica) come un obbligo, inderogabile, di ridurre la spesa di personale rispetto al precedente anno, nonostante – si badi bene – la legge non preveda ciò.
Ciò implica una enorme penalizzazione per gli Enti, che in alcuni caso, seguendo tale lettura, non riescono neanche a coprire il turn over del precedente anno nei termini consentiti dalla legge, ossia nei limiti del 40%, ai sensi dell’art. 76, comma 7 dl 112/2008.
Un esempio potrà meglio chiarire quanto evidenziato: se un Ente ha subito 5 cessazioni a gennaio del 2013, in tale annualità avrà registrato un consistente calo della spesa. Per effetto di quanto sostenuto dalla Corte, nel 2014 lo stesso ente non potrà neppure coprire il turn over al 40%, ossia effettuare le n. 2 assunzioni consentite, perché questo produrrebbe un temporaneo incremento della spesa nel 2014 rispetto al 2013.
Se invece si guarda alla dinamica complessiva, evidentemente nell’ambito del triennio, la mera applicazione del limite del 40% produce un considerevole abbattimento delle spese.
‘’Come già più volte evidenziato dall’Anci – commenta Umberto Di Primio, responsabile Anci politiche per il Personale – si è prodotta una situazione insostenibile in cui al rigore dei vincoli di legge, già più restrittivi per i Comuni rispetto alle amministrazioni centrali, per le quali la legge di stabilità per il 2014 ha comunque previsto un progressivo sblocco delle facoltà assunzionali, si sommano interventi interpretativi della magistratura che, come nel caso evidenziato, vanno ben oltre il dato normativo, aggravando ulteriormente la situazione di estrema difficoltà in cui già versano gli Enti locali’’.
‘’La riduzione della spesa della Pubblica Amministrazione – aggiunge – è un principio sacrosanto al quale i Comuni hanno contribuito più d’altri negli ultimi 5 anni; non si può più chiedere al comparto enti locali di stringere la cinghia quando è evidente che sprechi e sperperi nella spesa pubblica albergano altrove. Stando ai dati Istat del 2012 il peso degli oltre 8 mila comuni sulla spesa pubblica è pari al 7,6%; pesano per il 18% le regioni e la sanità e per il 30% lo Stato; per il 39% gli Enti di previdenza; se si vuole per davvero ridurre la spesa pubblica – conclude Di Primio – la stessa Corte dei Conti volga il proprio sguardo sulle voragini create da soggetti diversi dai Comuni’’.
FONTE: Anci