Non è prevista alcuna deroga alle disposizioni che indicano specificamente nel pagamento il momento dal quale deve decorrere il tempo disponibile per la presentazione dell’istanza.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 13724 del 31 maggio 2017, ha risolto un rilevante contenzioso in tema di rimborso delle accise, chiarendo, in particolare, quale sia il dies a quo per il computo del termine di decadenza della richiesta.
Nel caso di specie la contribuente, una compagnia petrolifera, impugnava il diniego, da parte dell’Agenzia delle Dogane, del rimborso dell’accisa di 1.757.539,22 euro, assolta per la fornitura di prodotti petroliferi all’Arma dei carabinieri.
La società deduceva in particolare di avere fornito, nei mesi di aprile e maggio 2001, prodotti petroliferi che, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera c), del Tua (Testo unico accise), dovevano ritenersi esenti da accisa, e precisava che solo nell’ottobre del 2003 aveva ricevuto dall’Arma dei carabinieri la prescritta attestazione dei rifornimenti petroliferi ricevuti, sicché aveva potuto inoltrare la domanda di rimborso, dopo vari scambi epistolari, nel maggio 2005.
L’Agenzia delle Dogane però aveva rigettato l’istanza per decorrenza del termine biennale dal pagamento dell’accisa. La Ctp di Napoli accoglieva il ricorso del contribuente, rilevando che il termine biennale di decadenza era a suo avviso inapplicabile nel caso di specie, atteso che il rilascio dell’attestazione non sottostava ad alcun limite temporale e non era nella disponibilità della società istante, sulla quale non poteva ricadere il ritardo dell’ente.
In sostanza, secondo i giudici di prime cure, doveva ritenersi che i due anni decorressero dalla data del rilascio dell’attestazione e non dalla data del pagamento dell’accisa.
Avverso la sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Dogane, ma la Ctr rigettava il gravame, ritenendo anch’essa che il termine biennale per la presentazione della istanza di rimborso dovesse iniziare dalla data di rilascio della necessaria attestazione dell’ente militare, essendo a suo avviso incolpevole il comportamento della società e inapplicabile, nel caso di specie, la decorrenza dalla data di pagamento dell’accisa o dalla fornitura del prodotto petrolifero.
L’Agenzia proponeva, infine, ricorso per cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 14, comma 2, e 17, comma 1, lettera c), del Dlgs 504/1995, nonché dell’articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, e dolendosi che la Ctr avesse distinto tra diritto al rimborso, sottoposto a prescrizione, ed esercizio di tale diritto, sottoposto al termine di decadenza, decorrente però non dal pagamento, come previsto dalla legge, ma da un momento successivo.
Secondo l’Amministrazione era, infatti, in particolare erronea l’affermazione della Ctr secondo cui le disposizioni in tema di rimborso delle accise troverebbero applicazione unicamente nel caso di accise indebitamente pagate, non essendo, in realtà, desumibile dalla lettera della legge una simile distinzione.
Il ricorso, secondo la Corte suprema, era fondato, alla luce del principio per cui “in tema di imposte sul consumo dell’energia elettrica, l’art. 14, comma 2, del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (T.U. delle imposte sulla produzione e sui consumi), ha introdotto una regola generale per la quale il rimborso dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento, a prescindere dalle cause per le quali il pagamento non è dovuto. Ne consegue che detto termine trova applicazione anche nel caso in cui l’accisa sia stata debitamente pagata, e sia sopravvenuta una causa di non debenza del tributo” (Cassazione, decisioni 23515/2008, 24056/2011, 3363/2012 e 9283/2013).
La Ctr aveva dunque errato a ritenere che la richiesta del 2005 fosse tempestiva perché effettuata nei due anni dal ricevimento, da parte della società resistente, dell’attestazione dell’Arma dei carabinieri relativamente ai quantitativi di prodotti petroliferi destinati a uso militare e, quindi, esenti dall’accisa, individuando, in sostanza, un termine di decadenza decorrente non dal pagamento, ma dal successivo momento a far data dal quale la contribuente aveva ottenuto la possibilità di quantificare l’accisa della quale si chiedeva il rimborso.
Come, infatti, già affermato nella sentenza della Corte di cassazione 24056/2011, non può revocarsi in dubbio che la decadenza del contribuente dal diritto di ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate a titolo di imposta, interessi o accessori, per decorso del termine di due anni dal pagamento, già sancita – sul piano generale – dagli articoli 19, comma 1, lettera g), e 21, comma 2, del Dlgs 546/1992, trovi un’espressa conferma nelle disposizioni particolari che disciplinano il settore delle imposte sulla produzione e sui consumi.
E infatti, l’articolo 14, comma 2, del Dlgs 504/1995 – recuperando un termine perentorio già previsto, in relazione all’imposta di fabbricazione sugli oli minerali, dall’articolo 20 del regio decreto 334/1939 – ha introdotto, nella specifica materia, la regola generale secondo cui il rimborso dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento, a prescindere dalle cause per le quali il pagamento non è dovuto (cfr Cassazione, pronunce 16121/2004, 12045/2008 e 23515/2008).
Era dunque sbagliato l’assunto del giudice di appello, laddove aveva ritenuto che la decorrenza del predetto termine potesse invece essere spostata in avanti, legandola alla data di rilascio dell’attestazione. Tale conclusione, invero, evidenzia la Corte, non era autorizzata in alcun modo dall’univoco e chiaro disposto delle norme suindicate, le quali indicano nel pagamento il momento dal quale deve indefettibilmente iniziare il calcolo del tempo a disposizione per l’esercizio del diritto al rimborso dell’imposta non dovuta.
E, sottolineano i giudici di legittimità, essendosi, indubitabilmente, in presenza di termini di decadenza dettati per finalità di interesse pubblico, non disponibili neppure dalla stessa pubblica amministrazione (Cassazione, pronunce 1605/2008 e 791/2011), la relativa disciplina legale non avrebbe comunque potuto essere derogata neanche dall’accordo delle parti, ostandovi il disposto dell’articolo 2968 del codice civile.
Anche la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla controricorrente appariva del resto manifestamente infondata.
Premesso, infatti, che la disciplina in tema di accise si presenta con caratteri di specificità rispetto alla generale disposizione di cui all’articolo 21, comma 2, del Dlgs 546/1992, secondo la Corte, risultava decisivo il rilievo, ribadito anche dalle sezioni unite, per cui «il termine di decadenza per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e decorrente dalla “data del versamento” o da quella in cui “la ritenuta è stata operata”, opera anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia – come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche» (Cassazione, sezioni unite, pronunce. 13676/2014 e 13980/2016).
Del resto, rileva ancora la Corte, il termine entro il quale la richiesta di rimborso deve essere effettuata non è certamente tale da rendere eccessivamente difficoltoso l’esercizio del diritto, potendo essere esperite, nel detto periodo successivo al pagamento, tutte le più opportune sollecitazioni all’amministrazione che ha usufruito della fornitura (nel caso di specie, peraltro, neppure provate) e dalle indicazioni della quale dipende la possibilità di determinare, negli esatti termini quantitativi, l’entità delle accise non dovute.