Ad avvalorare la decisione anche la Corte di giustizia Ue, la quale ha ritenuto compatibile, con le direttive comunitarie, la normativa nazionale che prevede il tributo.
La Cassazione, con sentenza 23052/2012, si era già espressa a favore della legittimità della tassa in questione. Tuttavia, un mutamento di posizione della stessa Corte di legittimità ha portato alla rimessione della questione alle sezioni unite.
Al fine di comprendere meglio l’annosa questione che ha interessato la tassa in argomento, occorre premettere una breve riflessione sulla normativa extrafiscale e tributaria d’interesse.
Con il Dm 33/1990 sono state introdotte le norme regolamentari del servizio radiomobile pubblico terrestre di conversazione, che consente agli abbonati l’impiego di apparecchiature terminali.
Per usufruire del servizio, è necessario fare richiesta di abbonamento alle società che lo offrono a seguito di regolare autorizzazione generale, rilasciata a norma del Dlgs 259/2003, recante il nuovo “Codice delle comunicazioni elettroniche”. Le richieste di abbonamento devono essere inoltrate agli operatori autorizzati, i quali rilasciano il documento attestante la condizione di abbonato. Il contratto di abbonamento è il titolo giuridico che consente di utilizzare il sistema di telefonia mobile e sostituisce a tutti gli effetti la “licenza di stazione radio”.
Con l’articolo 1 del Dpr 641/1972, è stato individuato l’oggetto della tassa sulle concessioni governative in tutti i “provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell’annessa tariffa”.Stante la disciplina extratributaria descritta, con l’articolo 3 del Dl 151/1991, la tassa sulle concessioni governative è stata estesa ai servizi radiomobili di comunicazione, aggiungendo alla tariffa annessa al Dpr 641/1972 la voce n. 131 “Apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione”.
Attualmente, quindi, l’articolo 21 della tariffa prevede la corresponsione della tassa per il rilascio della “licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (articolo 318 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973 , n. 156, e articolo 3 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 151, convertito con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 202)”.Tale norma contiene un riferimento all’articolo 318 del Dpr 156/1973 e all’articolo 3 del Dl 151/1991 che, a sua volta, richiama l’articolo 3, comma 2, del Dm 33/1990, ai sensi del quale l’abbonamento al servizio radiomobile sostituisce la licenza di “stazione radio”, di cui all’articolo 318 del Dpr 156/1973.
A seguito dell’abrogazione dell’articolo 318 a opera dell’articolo 218 del Dlgs 259/2003, gli utenti del servizio di telefonia, tra cui molti Comuni, fanno derivare un’abrogazione (tacita) dello stesso articolo 21 e, quindi, l’eliminazione del presupposto giuridico per l’applicazione della tassa.I diversi orientamenti giurisprudenziali
Come già accennato, i giudici della Corte suprema, con la sentenza 23052/2012, avevano ribadito che il contenuto del soppresso articolo 318 può dirsi oggi ripreso e letteralmente trasfuso dal legislatore nell’articolo 160 del Dlgs 259/2003, rubricato “Licenze di utilizzo”.
In particolare, hanno affermato il seguente principio: “In tema di tassa di concessione governativa sugli abbonamenti telefonici cellulari, dal quadro normativo delineato dal Codice delle comunicazioni elettroniche emerge che l’attività di fornitura di servizi di comunicazione elettronica, pur caratterizzata da una maggiore libertà rispetto alla normativa precedente, resta comunque assoggettata ad un regime autorizzatorio da parte della P.A., con la particolarità che il contratto di abbonamento con il gestore del servizio radiomobile si sostituisce alla licenza di stazione radio, e che tale permanente regime autorizzatorio, pur contrassegnato da maggiori spazi di libertà rispetto al passato, giustifica il mantenimento della tassa di concessione governativa prevista per l’utilizzo degli apparecchi di telefonia mobile, costituendo oggetto di tassazione, ai sensi dell’art. 21 della tariffa allegata al d.P.R. n. 641 del 1972, la Licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione”.
Ripresentatasi nuovamente la questione all’attenzione della sezione tributaria della Corte, le decisioni precedentemente adottate non sono state replicate; al contrario, è emerso un dubbio sulla effettiva sopravvivenza nell’ordinamento della tassa in questione. In particolare, con varie argomentazioni, la sezione tributaria rimettente escludeva chiaramente che il presupposto impositivo poteva considerarsi ancora esistente e di conseguenza esprimeva un parere a sfavore circa la legittimità della tassa.
Di qui, l’ordinanza di rimessione 12052/2013 al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, per una pronuncia definitiva dei giudici di legittimità.
L’argomentazione alla base della ordinanza può così sintetizzarsi: “L’uso dei telefoni cellulari è soggetto alle regole del d.lgs. 269 del 2001, e non a quelle del codice delle comunicazioni. Pertanto, poiché il d.lgs. 269 del 2001 non subordina l’uso del telefono al rilascio di alcun provvedimento amministrativo, manca il presupposto stesso per l’applicazione della tassa sulle concessioni governative”.
La decisione delle sezioni unite
La pronuncia 9560/2014 delle sezioni unite potrà mettere finalmente un punto sulla questione. In sintesi, le statuizioni che hanno dato piena conferma alla tesi dell’Amministrazione.
Sul piano della compatibilità della norma nazionale con le direttive comunitarie, i giudici hanno dichiarato che l’analisi della disciplina, tanto delle direttive, quanto della normativa di attuazione, porta a concludere che, da un lato, il codice delle comunicazioni (Dlgs 259/2003) non si occupa solo delle comunicazioni radio, ma anche di quelle telefoniche, disciplinando le une e le altre sul piano delle condizioni di accesso; dall’altro, il Dlgs 269/2001 non si occupa solo dei telefoni, ma anche delle radio trasmittenti e non appare giustificato sostenere, sul piano normativo, che la tassa di concessione governativa sui “telefonini” sia da ritenere abrogata per il solo fatto che il Codice delle comunicazioni non disciplina più l’uso dei terminali radiomobili di comunicazione (cioè i telefoni). Va rilevato, inoltre, che la Corte di giustizia si è già espressa nel senso di ritenere compatibile con le direttive comunitarie la normativa nazionale che prevede un tributo come la tassa di concessione governativa (ordinanza 12 dicembre 2013 in causa C-335/13, Umbria Packaging srl).
Sul piano della verifica dell’eventuale abrogazione delle norme, in base alle quali si fonda la pretesa dell’amministrazione, i giudici chiariscono che il riferimento all’articolo 318, contenuto nell’articolo 21, deve intendersi attualmente riferito all’articolo 160 del Dlgs 259/2003, considerato che il dettato normativo della prima disposizione è integralmente trasfuso nell’articolo 160 della nuova normativa.
Inoltre, si esclude che vi sia stata una abrogazione espressa del Dm 33/1990, successivamente integrato con il Dm 512/1993, pacificamente ritenuto lo strumento normativo che avrebbe incluso i “telefoni cellulari” nelle “stazioni radioelettriche” soggette a “licenza d’uso”, stabilendo anche l’equivalenza tra “licenza d’uso” e “abbonamento”.
I giudici di legittimità rilevano, poi, come, nel difficile quadro di contrastanti posizioni esegetiche che si è determinato in ordine alla questione in argomento, lo stesso legislatore ha ritenuto opportuno intervenire per un “definitivo e rassicurante” chiarimento con l’articolo 2, comma 4, del Dl 4/2014.
Questa norma interpretativa prevede che “Per gli effetti dell’articolo 21 della Tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, le disposizioni dell’articolo 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto articolo 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”.
Ritenendo quindi dovuta la tassa sui telefonini, la Corte affronta l’altro aspetto importante del contenzioso: verificare se la tassa in questione, pur essendo dovuta, lo sia anche da parte degli enti locali o a quest’ultimi possa intendersi estesa l’esenzione spettante all’Amministrazione dello Stato. A questa domanda deve darsi risposta negativa in quanto, innanzitutto, la predetta esenzione non è specificamente prevista dal Dpr 641/1972 che, all’articolo 13-bis, comma 1, disciplina specificamente i casi di esenzione dal pagamento del tributo.
È da escludere, per ragioni di ordine sistematico e sostanziale, la possibilità di applicare l’invocata esenzione ai Comuni in base a un’interpretazione analogica dell’articolo 74, comma 1, del Tuir, che esclude dall’applicazione dell’Ires lo Stato e altri enti pubblici, compresi i Comuni.
Al riguardo, rilevano il differente ambito impositivo dell’Ires rispetto alla tassa sulle concessioni governative e la diversità dei relativi presupposti legittimanti l’applicazione del tributo, nonché, l’impossibilità di estendere in via analogica al caso di specie la disposizione recata dall’articolo 74, in quanto, per costante giurisprudenza, le disposizioni esentative e agevolative in materia tributaria non sono suscettibili di interpretazione analogica.
Infine, considerato che l’articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001, distingue i Comuni dalle Amministrazioni dello Stato, deve escludersi che detti enti siano esonerati dal pagamento del tributo.