mefIn merito alle recenti operazioni di risoluzioni bancarie pubblichiamo un dossier che illustra le scelte del Governo e ripercorre l’interlocuzione avuta con la Commissione europea tenendo conto anche dei casi precedenti di Banca Tercas e Sicilcassa.

 

Il caso Tercas

 

In data 2 marzo 2015 la Commissione europea ha notificato l’avvio di un’istruttoria (All.1) ai sensi dell’art. 108(2) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”) nei confronti della Repubblica Italiana per presunta violazione della disciplina sugli aiuti di Stato in relazione ad alcuni interventi di sostegno effettuati dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (“FITD” o “Fondo”) in favore della Banca Tercas, in relazione all’acquisizione di questa da parte della Banca Popolare di Bari. L’intervento aveva risolto la crisi della Banca Tercas senza coinvolgere i risparmiatori.

 

La notifica dell’avvio di istruttoria era stata preceduta nell’ottobre del 2014 da una richiesta di informazioni, prontamente soddisfatta, sull’operazione. La Commissione, nella stessa lettera, aveva chiesto informazioni anche sull’intervento a favore di Banca delle Marche, deliberato dal FITD e, a differenza dell’intervento in Tercas, non ancora realizzato.

 

Più precisamente, l’indagine è stata disposta con riferimento agli interventi erogati in favore di Banca Tercas in amministrazione straordinaria dal FITD e autorizzati da Banca d’Italia in data 7 luglio 2014, per un ammontare complessivo di 265 milioni.

 

Nel motivare l’atto di avvio, la Commissione ha sostenuto che:

 

– le contribuzioni erogate al Fondo dalle banche consorziate e utilizzate per effettuare gli interventi di sostegno alle consorziate in dissesto hanno natura obbligatoria (alla stregua di contributi parafiscali) e possono pertanto essere considerate risorse statali;

 

– quando effettua interventi di sostegno alle banche in dissesto il Fondo ha finalità e funzioni pubblicistiche a tutela di interessi generali (la protezione dei depositi);

 

– la decisione del FITD di destinare parte di tali fondi al sostegno di Tercas può essere imputata allo Stato italiano, per effetto della funzione di coordinamento/controllo che la Banca d’Italia esercita nei confronti del Fondo.

 

L’Italia ha preso posizione sull’indagine con apposita memoria (All. 2), nella quale ha affermato che gli interventi preventivi di sostegno assunti dal Fondo in favore di banche in difficoltà, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione:

 

– non sono previsti da alcuna prescrizione normativa, posto che è lo stesso Fondo di garanzia dei depositanti a decidere autonomamente se e quando effettuare tali tipi intervento;

 

– mirano a perseguire in via diretta una finalità diversa o comunque ulteriore rispetto alla tutela dei depositanti, cioè il risanamento della banca in difficoltà;

 

– il FITD funziona e opera esattamente come qualsiasi consorzio di diritto privato e assume le sue decisioni in autonomia, senza che Banca d’Italia possa esercitare alcun potere nell’ambito del relativo processo decisionale (l’autorizzazione degli interventi da parte della Banca d’Italia è solo successiva alle decisioni del Fondo e può solo impedire l’assunzione delle decisioni stesse, non promuoverle o stimolarle).

 

La ricostruzione prospettata dall’Italia è stata in passato condivisa dalla stessa Commissione, la quale, trovandosi a valutare un caso del tutto analogo a quello oggetto di indagine (caso Sicilcassa, 1999, All. 3), concluse che l’intervento di sostegno prestato in quell’occasione dal Fondo all’istituto Sicilcassa fosse ascrivibile all’ambito di autonomia del Fondo e non costituisse aiuto di Stato. Si evidenzia che, rispetto agli interventi dei fondi di garanzia dei depositi, le norme vigenti all’epoca, i principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia e la situazione di fatto erano del tutto comparabili a quelli di oggi.

 

Dopo una lunga interlocuzione con gli uffici della Commissione, nel corso della quale anche Banca d’Italia e Banca Popolare di Bari hanno presentato memorie, la Commissione ha manifestato il proprio intendimento di concludere l’indagine con una decisione negativa. In data odierna ha infine adottato un provvedimento che, accertata la natura pubblica dell’intervento del FITD, lo dichiara incompatibile con le regole del mercato interno, in quanto non accompagnato da misure di condivisione degli oneri a carico di azionisti e creditori subordinati (c.d. “burden sharing”) come richiesto dalla normativa europea, e dispone contestualmente il recupero dell’aiuto (con obbligo da parte della Tercas di restituire al FITD l’intero ammontare dell’intervento).

 

Al fine di evitare un impatto negativo rilevante sulla Banca e la sua controllante (Banca Popolare di Bari) con potenziali effetti sistemici, parte del sistema bancario provvederà, attraverso un meccanismo volontario costituito ad hoc, a rigirare a Tercas le somme che questa sarà costretta a restituire al FITD e per tramite di questo al sistema bancario stesso. La ripetizione dell’intervento tramite il meccanismo volontario è stata indicata dalla stessa Commissione come l’unica alternativa percorribile al fine di evitare profili di incompatibilità con il regime normativo degli aiuti di Stato.

 

Il progetto di soluzione della crisi di Banca Marche, Carife e Banca Etruria

 

Ai fini della soluzione della situazione di grave crisi di alcune banche italiane in amministrazione straordinaria (Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche e Banca Etruria), il FITD – che aveva già avviato un primo intervento a favore della Cassa di Risparmio di Ferrara – si era dichiarato disponibile a ricapitalizzare le 3 banche.

 

Data la ferma posizione della Commissione – che esclude la realizzabilità di qualunque forma di intervento del FITD non accompagnata da “burden sharing”

 

– l’intervento ipotizzato prevedeva la ricapitalizzazione delle tre banche da parte del Fondo stesso previo abbattimento delle perdite e conversione in azioni delle obbligazioni subordinate da queste emesse. Per poter disporre queste misure (il cd write-down delle azioni e la conversione dei titoli di debito subordinati) era necessaria la trasposizione nell’ordinamento nazionale della direttiva 2014/59/UE sul risanamento e la risoluzione delle banche (di seguito BRRD): solo le relative norme di recepimento, infatti, avrebbero previsto tali poteri. Il recepimento della BRRD è avvenuto con i decreti legislativi 180 e 181 del 16 novembre 2015.

 

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, acquisita la valutazione positiva della Banca d’Italia, ha sottoposto lo schema alla Commissione europea, avviando l’interlocuzione con la Direzione Concorrenza. In tale sede i servizi della Commissione hanno anzitutto ribadito che gli interventi di un meccanismo di garanzia dei depositi diversi dal rimborso dei depositanti sono da ritenersi aiuti di Stato. Hanno peraltro riconosciuto che lo schema proposto appariva conforme al quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato, in quanto prevedeva la partecipazione alle perdite e alla ricapitalizzazione di azionisti e creditori subordinati. Il sacrificio dei creditori subordinati sarebbe stato significativamente inferiore rispetto a quello conseguente alle successive operazioni di risoluzione.

 

Tuttavia, la qualificazione come aiuti di Stato dell’intervento preventivo del FITD ha a questo punto portato la Commissione a sollevare un ulteriore problema di interpretazione del combinato disposto della BRRD e della direttiva 2014/49/UE concernente gli schemi di garanzia dei depositi (di seguito DGSD), che esplicitamente prevede che il Fondo di garanzia dei depositi possa effettuare interventi come quello descritto, purché non si siano realizzate le condizioni per avviare la banca alla risoluzione.

 

La BRRD enumera infatti tre condizioni per la sottoposizione alla procedura di risoluzione: dissesto o rischio di dissesto, mancanza di un’alternativa di mercato, inadeguatezza della liquidazione coatta amministrativa a conseguire i medesimi obiettivi della risoluzione. La direttiva elenca poi le situazioni che caratterizzano lo stato di dissesto o di rischio di dissesto: tra queste è indicata la circostanza che sia previsto un intervento pubblico straordinario a favore della banca.

 

Secondo la Commissione europea, dalla qualificazione dell’intervento preventivo del Fondo come aiuto di Stato conseguirebbe che la banca sia considerata in stato di dissesto o a rischio di dissesto. Poichè nei casi di specie le altre due condizioni indicate da BRRD sarebbero risultate avverate, le banche menzionate avrebbero dovuto essere avviate alla risoluzione.

 

L’Italia ha fatto osservare come la DGSD non qualifichi l’intervento preventivo di un meccanismo di garanzia dei depositanti come aiuto di Stato e ha sottolineato l’incongruenza del quadro giuridico che altrimenti ne risulterebbe: l’intervento del Fondo di garanzia dei depositi imporrebbe la risoluzione della banca, ma una volta che la banca sia finita in risoluzione il Fondo non potrebbe effettuare quell’intervento, in previsione del quale sarebbe stato ritenuto presente lo stato di dissesto. Infatti, ai sensi tanto della BRRD che della DGSD, il Fondo di garanzia dei depositi non può effettuare interventi del genere a favore di banche in risoluzione.

 

La lettura dei servizi della Commissione è stata confermata da una lettera dei Commissari Hill e Vestager del 19 novembre 2015 (All. 4), e ha impedito la realizzazione del progetto sopra descritto.

 

Cosa sarebbe accaduto se si fosse attuato l’intervento senza una notifica preventiva alla Commissione europea

 

Uno Stato membro non può dare esecuzione a misure di aiuto prima di una decisione positiva della Commissione europea. Qualora si fosse proceduto con gli interventi prospettati da parte del FITD, senza notificarli preventivamente alla Commissione, il rischio che gli stessi fossero dichiarati incompatibili con il quadro normativo europeo sugli aiuti di Stato o con la BRRD con conseguente obbligo di restituzione, come avvenuto nel caso Tercas, avrebbe comportato anzitutto l’impossibilità di trovare terzi acquirenti per le banche ricapitalizzate dal FITD. In altri termini, l’estrema incertezza sulla tenuta giuridica dell’operazione e sulle ricadute economiche per l’acquirente avrebbe ovviamente disincentivato qualsiasi offerta.

 

Inoltre, dal punto di vista patrimoniale, la ricapitalizzazione delle banche da parte del Fondo sarebbe stata completamente neutralizzata dalla necessità, per le stesse banche, di effettuare un accantonamento di tipo contabile a fronte delle future azioni della Commissione.

 

Infine, la ricapitalizzazione delle banche ad opera del FITD avrebbe comportato il necessario intervento della BCE, che è l’autorità competente a rilasciare l’autorizzazione, prevista dal TUB e dalla normativa europea, sull’acquisto di partecipazioni qualificate nelle banche. La BCE, come hanno dimostrato gli eventi successivi, avrebbe autorizzato l’acquisto soltanto a condizione del parere favorevole della Commissione Europea, che ovviamente non lo avrebbe dato.

 

Gli interventi volontari

 

La Commissione europea ha più volte suggerito che gli interventi, diversi dal rimborso dei depositanti, che essa ritiene preclusi al Fondo di garanzia dei depositi, siano posti in essere tramite meccanismi volontariamente costituiti dal sistema bancario nazionale.

 

La partecipazione allo schema volontario e, conseguentemente, ai relativi interventi finanziari, deve essere del tutto volontaria e tale schema non deve essere legato ad alcun mandato pubblico, mentre le risorse finanziarie dello schema volontario devono essere addizionali a quelle obbligatoriamente versate al Fondo di garanzia dei depositi.

 

Questo tipo di soluzione, che è quella che il FITD e il sistema bancario hanno apprestato per porre rimedio alla decisione della Commissione sul caso Tercas, essendo totalmente volontaria esula completamente dalla verifica di compatibilità con il regime europeo degli aiuti di Stato.

 

Si tratta di una modalità di gestione delle crisi che avrà per forza di cose un’operatività limitata, dovuta al fatto che comunque le banche rimangono obbligate a contribuire al fondo di risoluzione (nazionale ora, unico dal 1° gennaio 2016) e al sistema di garanzia dei depositi e alla circostanza che, nell’ottica della Commissione, la volontarietà è assicurata solo se le banche conservano la libertà di negare il proprio assenso a specifici interventi.