grecia-troikaIl Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, ha svolto oggi in Aula al Senato un’informativa sulla crisi della Grecia. Nel suo intervento il Ministro ha fornito gli aggiornamenti sullo stato del negoziato tra il governo ellenico e le istituzioni europee per quanto riguarda le iniziative di sostegno ad Atene.

 

Padoan ha ricordato i due programmi di aiuto che sono stati prestati alla Grecia dall’Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e i cinque mesi di lavoro svolto dall’Eurogruppo con il nuovo governo greco per concludere il secondo programma. Per ottenere l’ultima tranche di finanziamenti, infatti, Atene avrebbe dovuto presentare un programma di riforme strutturali in grado ripristinare nel Paese le condizioni di crescita e di accesso al mercato. “L’Italia ha sempre lavorato per favorire il raggiungimento di un accordo”, ha spiegato il Ministro. Tuttavia, il 30 giugno è scaduto il secondo programma di aiuti senza che venisse trovata un’intesa.

 

Oggi “siamo in una situazione nuova”: il governo greco, con una lettera inviata l’8 luglio al presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, ha chiesto l’attivazione di un nuovo programma di aiuti, assicurando al contempo l’avvio immediato di interventi in campo fiscale e previdenziale. Dijsselbloem, da parte sua, ha subito incaricato la Commissione europea, la Banca Centrale Europea (BCE) e il Fondo Monetario Internazionale di valutare rapidamente se sussistano le condizioni per accettare la richiesta di Atene. E di questo si parlerà all’Eurogruppo convocato per sabato 11 luglio a Bruxelles.

 

Ma, ha ribadito il Ministro, la crisi della Grecia ha messo in evidenza la necessità di aprire il “cantiere Europa”, che l’Italia ha peraltro già avviato nel semestre di presidenza dell’Unione europea nel 2014. Per una maggiore efficacia delle politiche europee, ha concluso il ministro Padoan, sono indispensabili la fiducia (che “oggi è la risorsa più scarsa”) e una maggiore integrazione.

 

I programmi di aiuto alla Grecia

 

Come altri Stati membri dell’Unione, la Grecia ha chiesto assistenza all’Unione europea e al Fondo monetario internazionale. Sono stati concessi al Paese aiuti finanziari nell’ordine di 260 miliardi di euro a partire dal 2010, subordinati ad una politica economica orientata a correggere i difetti strutturali dell’economia nazionale, come accaduto in altri Paesi, per ripristinare le condizioni di accesso ai mercati.

 

I programmi di aiuto realizzati in altri Paesi si sono conclusi: Spagna, Portogallo e Irlanda hanno ripreso a crescere, emettere i titoli di Stato e rifinanziare sul mercato il proprio debito; Cipro sta per concludere con successo il suo programma. In Grecia la situazione è rimasta assai critica: ci sono stati due programmi di aiuto, il secondo dei quali è terminato il 30 giugno, senza che la Grecia potesse utilizzare risorse ancora disponibili. L’Italia, da sola, ha contribuito con 35,9 miliardi di euro, che pesano sul nostro debito in termini di 2,3 punti di PIL, peraltro già contabilizzati.

 

Veniamo ad oggi: nell’ambito del Consiglio dei ministri delle finanze dei Paesi della zona euro, l’Eurogruppo, è stato svolto un lavoro di cinque mesi con il nuovo Governo greco per concludere il secondo programma, il cui completamento avrebbe consentito alla Grecia di ricevere l’ultima tranche di prestiti e ulteriori fondi dal Fondo monetario internazionale. Con tali risorse, avrebbe potuto far fronte alle scadenze di debito concentrate nell’estate di quest’anno e continuare il cammino verso il recupero dell’autonomia finanziaria.
Gli aiuti finanziari, com’è noto, creano le condizioni perché uno Stato possa realizzare i cambiamenti necessari a rimettere le istituzioni, la società e l’economia su un sentiero di crescita sostenibile nel lungo termine.

 

Questi cambiamenti si realizzano con misure economiche, giuridiche e istituzionali, cioè con riforme strutturali. Queste azioni, nel loro insieme, costituiscono quelle che vengono definite le condizionalità del programma: in altre parole, le istituzioni forniscono risorse finanziarie; il beneficiario del prestito si impegna a ripristinare le condizioni di crescita e di accesso al mercato, nel proprio interesse e in quello dei creditori, cui potrà restituire il prestito.

 

Il recente negoziato

 

Nei mesi passati, nell’ambito dell’Eurogruppo ci siamo riuniti molte volte e l’Italia ha sempre lavorato per favorire il raggiungimento di un accordo: sul lato dei creditori ci sono stati irrigidimenti crescenti da parte della maggioranza dei Paesi, ma sul fronte greco si è mantenuto un comportamento spesso sconfortante. Un negoziato fra diciannove Paesi membri, con la partecipazione di istituzioni come il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea, la Commissione o lo European stability mechanism è necessariamente complesso, va condotto secondo regole d’ingaggio condivise, con contributi puntuali, concreti, fattuali. L’assenza di questa concretezza ed il reiterarsi di riunioni inconcludenti, perché prive di un oggetto da esaminare, e l’incertezza sugli obiettivi delle autorità greche hanno fatto perdere molto tempo.

 

Fino al 30 giugno, data in cui è terminato il secondo programma e in cui scadevano i termini per il pagamento di rimborsi al Fondo monetario internazionale. Oggi siamo in una situazione nuova: aiutare la Grecia richiede l’attivazione di un nuovo programma di aiuti che comprenda prestiti a lungo termine e la modernizzazione del Paese. Nella giornata di ieri, 8 luglio, le autorità elleniche hanno trasmesso al presidente dell’Eurogruppo una richiesta di sostegno alla stabilità finanziaria, ai sensi del trattato dello European stability mechanism. La richiesta è di un prestito triennale associato ad un programma di riforme nel campo della sostenibilità di bilancio, della stabilità finanziaria e della crescita a lungo termine. In particolare, la lettera contiene l’impegno a presentare immediatamente un pacchetto di misure nel campo delle tasse e delle pensioni.

 

Ieri stesso il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha incaricato la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale di valutare rapidamente se sussistano le condizioni per procedere con il prestito. L’Eurogruppo si riunisce sabato 11 luglio. Si apre un nuovo cantiere per la Grecia, al quale l’Italia partecipa in modo molto costruttivo e cooperativo per una soluzione condivisa.

 

Il cantiere europeo

 

La vicenda greca impone però di aprire un altro cantiere sulla politica e sulle istituzioni dell’Europa, cantiere che peraltro l’Italia ha già aperto durante il semestre di Presidenza dell’Unione. Ho già detto molte volte – e ripeto qui – che l’austerità è un falso problema. La domanda non è austerità sì o austerità no; la domanda alla quale dobbiamo dare una risposta è come tradurre in pratica gli obiettivi della crescita e della creazione di occupazione, in un contesto in cui si apre una finestra di opportunità che rischia di essere più piccola e più breve di quanto ci si possa attendere.

 

Il policy-mix oggi in Europa comprende tre leve. La leva degli investimenti, innanzitutto, da realizzare attraverso il Fondo europeo per gli investimenti strategici, noto come Piano Juncker ed affidato operativamente alla Banca europea per gli investimenti. Risorse pubbliche vi sono e possono attivare risorse private. Non dimentichiamo che il bilancio europeo mette a disposizione risorse specifiche per investimenti in grande quantità. Occorre usare bene queste risorse, che per la Grecia valgono 35 miliardi di euro da impegnare entro il 2020.
La seconda leva serve a rilanciare una crescita sostenibile nel lungo periodo: le riforme strutturali, realizzate in molti Paesi e che l’Italia sta portando avanti con grande determinazione. Le riforme impongono cambiamenti, anche radicali, nei comportamenti e nei rapporti tra soggetti economici. I benefici delle riforme sono crescenti nel tempo e rafforzano la stabilità dell’Unione monetaria. Riforme nazionali e riforme europee, come il completamento del mercato interno, si rafforzano a vicenda.

 

Infine, la politica monetaria. Il quantitative easing, cioè l’immissione di liquidità nel sistema, che crea condizioni per tassi di interesse contenuti, di cui beneficiano le finanze pubbliche e i privati che effettuano investimenti, sia imprese che famiglie. Da solo il quantitative easing è comunque insufficiente; la sua efficacia dipende in misura cruciale dal miglioramento strutturale dell’economia.

 

In questo quadro un Paese con elevato debito deve gestire la finanza pubblica nella consapevolezza che un avanzo primario di bilancio è necessario per permettere la riduzione del debito. La politica di bilancio non si concentra però esclusivamente sui saldi; essa deve prestare grande attenzione alla composizione, tanto della spesa che delle entrate. La composizione di spesa ed entrate, a parità di saldo, può essere più o meno favorevole alla crescita e al lavoro, anche in funzione dell’azione sul piano delle riforme strutturali.
In questo mix si innesca la comunicazione sulla flessibilità diffusa il 13 gennaio dalla Commissione europea, linee guida sull’applicazione della regola di bilancio che consentano di adeguare l’aggiustamento fiscale al ciclo economico per evitare effetti prociclici delle politiche di aggiustamento, a condizione che il programma di riforme strutturali continui senza interruzione.

 

Fin qui il policy-mix attuale. Occorre però andare oltre; occorre rafforzare le istituzioni dell’Unione monetaria e dell’Europa, a partire dall’unione bancaria, nonché le istituzioni reali, quelle dell’economia reale, quelle fiscali e quelle di bilancio. Una discussione efficace di questi temi richiede la disponibilità della risorsa più scarsa oggi in Europa, che non è né la finanza, né lo spazio fiscale, bensì la fiducia. Senza la fiducia cadono gli investimenti privati e cadono i consumi; cade la domanda interna. La fiducia è diminuita tra i cittadini e le istituzioni; è diminuita tra gli Stati. Senza fiducia il comportamento privilegia il breve periodo e le scelte individuali rispetto a quelle cooperative e condivise. La via maestra per ricostruire la fiducia è procedere verso una maggiore integrazione e, al tempo stesso, l’integrazione si avvia se sussiste un grado di fiducia sufficiente.

 

Accelerare l’integrazione

 

Davanti alla crisi greca dobbiamo accelerare il processo di integrazione, subito e con coraggio, pensando al futuro, piuttosto che a calcoli opportunistici sul consenso a breve termine. L’integrazione richiede simmetria nei comportamenti e nelle politiche: si ha simmetria quando l’aggiustamento coinvolge ed è egualmente diviso tra Paesi in deficit e Paesi in surplus. Più integrazione richiede più condivisione dei rischi. Dobbiamo condividere i rischi mettendo insieme le risorse, come è indispensabile in un’unione monetaria compiuta. Il risk sharing e la mutualizzazione delle risorse sta già avvenendo nell’unione bancaria, che deve comunque essere completata, ma il risk sharing deve coinvolgere altri campi: la politica per l’occupazione e la politica di bilancio. Su questi temi e non sull’austerità si deve concentrare il dibattito in Europa. L’Eurogruppo inizierà a discutere di questi temi a partire dalla sua prossima riunione ordinaria, la prossima settimana.

 

Conclusioni

 

Onorevoli senatrici e senatori, tre punti per concludere.
Primo punto: non siamo nel 2012, cioè nel momento più acuto della crisi dell’euro. L’euro, l’unione monetaria, è più forte perché ha introdotto grandi progressi nell’integrazione e nella costruzione delle istituzioni. L’Italia è più forte e resistente, perché fa le riforme e ritorna a crescere. Secondo punto: è in corso un negoziato. Occorre lavorare per una soluzione condivisa basata sulla fiducia reciproca, e in ciò occorre ricordare che il confronto non è solo tra un Paese in difficoltà e un gruppo di creditori, è anche un confronto tra Governi e Parlamenti ai quali, come per il caso greco, in alcuni casi sono chiamati a dare approvazione formale ai programmi di assistenza, anzi, allo stesso avvio del processo di negoziato. Terzo punto: occorre accrescere il capitale di fiducia, non solo per consolidare la Grecia ma soprattutto per consolidare l’Europa, per riconquistare il consenso con risultati concreti in termini di crescita, occupazione e benessere. Occorre quindi – lo ripeto – orientare il dibattito su temi di lungo termine, non rimanere intrappolati in una visione unilaterale e di scarso respiro.