fattura elettronicaLa domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione di una disposizione comunitaria nell’ambito di una controversia tra due società, con sede legale in Stati diversi. Una società di diritto belga e di diritto italiano stipulavano nel novembre 2010 un contratto di concessione per la distribuzione commerciale di articoli per bambini. Con lettera raccomandata la società italiana risolveva anticipatamente il contratto e riceveva un atto di citazione della società belga in risposta del quale adiva il tribunale commerciale di Gand, in Belgio, deputato contrattualmente quale foro competente, nelle more del quale provvedeva al versamento di un importo a saldo di varie fatture insolute. Successivamente, la società belga chiedeva con domanda riconvenzionale una condanna per risoluzione illegittima del contratto di concessione. La società con sede in Belgio, nel contestare la domanda riconvenzionale, eccepiva la nullità delle fatture di cui al procedimento principale, sulla base del fatto che le indicazioni contenute nelle stesse non erano state redatte nella lingua madre della società italiana. Stante l’imposizione di un obbligo di redigere le indicazioni delle fatture nella lingua dell’ente emittente un ostacolo agli scambi internazionali il giudice del rinvio decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre ai togati europei la seguente questione pregiudiziale.

 

La questione pregiudiziale

 

Con la sua questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede se l’articolo 35 del TFUE, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa, come quella di cui nella fattispecie principale, la quale impone a tutte le imprese, con sede nel territorio dell’ente fatturante, di redigere le indicazioni in fattura nella lingua ufficiale dell’ente stesso a pena di nullità, rilevata d’ufficio dal giudice, del documento contabile.

 

Sulla questione pregiudiziale

 

In considerazione, delle asserzioni della società ricorrente i togati europei hanno argomentato come la norma controversa, come quella di cui al procedimento principale, privando gli operatori interessati della possibilità di scegliere liberamente una lingua, comune a entrambi, per la redazione delle fatture e imporre, a tale scopo, un lingua che non corrisponde necessariamente a quella che le parti hanno convenuto di utilizzare nei rapporti contrattuali, può far aumentare il rischio di contestazione e di mancato pagamento delle fatture stesse. Questo in quanto i destinatari del documento, potrebbero essere spinti, al fine di opporsi al pagamento, a far valere le proprie difficoltà nella comprensione del testo.

 

Per altro verso, il destinatario di una fattura, redatta in una lingua diversa da quella dell’Ente, in considerazione della nullità assoluta che vizia il documento, potrebbe essere spinto a contestarne la validità arrecando all’Ente emittente ulteriori svantaggi quali la perdita degli interessi di mora. Questo, in quanto, nel caso di contestazione basata sulla lingua di redazione, gli interessi di mora tornerebbero a maturare a partire dal momento di emissione di una nuova fattura redatta nella lingua dell’Ente. Sul piano dell’esistenza di una giustificazione della misura normativa controversa, da costante giurisprudenza della Corte è emerso come una misura nazionale che limiti l’esercizio delle libertà fondamentali garantite è ammissibile nella sola fattispecie che essa persegua un obiettivo di interesse generale, in maniera idonea e senza eccedere quanto necessario per il raggiungimento del predetto obiettivo.

 

Tra tali obiettivi rientra, come affermato dalla Corte, quello di garantire l’efficacia dei controlli fiscali, argomentazione non sufficiente a difendere la normativa controversa, in quanto secondo una circolare amministrativa belga, l’amministrazione finanziaria non può non riconoscere il diritto a detrazione, in particolare dell’imposta sul valore aggiunto, per il solo motivo, che le indicazioni di una fattura prescritte dalla legge siano redatte in lingua diversa da quella dell’Ente.  Per concludere sempre da precedente giurisprudenza, la Corte ha già statuito come una misura nazionale applicabile a tutti gli operatori attivi sul territorio nazionale, che, di fatto, incide maggiormente sull’uscita dei prodotti dal mercato dello Stato membro di esportazione che sulla commercializzazione degli stessi sul mercato nazionale del medesimo Stato membro non è compatibile con l’articolo 35 TFUE.

 

La pronuncia

 

I giudici della Corte di giustizia europea, si sono espressi, nel rispondere alla questione pregiudiziale, nel senso che l’articolo 35 del TFUE è di ostacolo a una normativa di un ente federato di uno Stato membro, che impone a tutte le imprese che hanno la propria sede di gestione nel territorio di tale ente, di redigere tutte le indicazioni presenti sulle fatture, su operazioni transfrontaliere, esclusivamente nella lingua ufficiale dell’ente stesso a pena di nullità, del documento, rilevata d’ufficio e dichiarata dal giudice.