Parola magica per almeno due anni, testimone delle nostre conversazioni a cena e dei discorsi in Parlamento e in televisione, la “spending review” scivola lentamente fuori scena, senza rimpianti e senza grandi applausi. Non è la sola, insieme a lei si eclissa la speranza, invero fallace, che tecniche raffinate di analisi della spesa possano portare a risparmi veri e duraturi senza una riforma sostanziale dell’apparato pubblico.

Questa constatazione viene rafforzata in questi giorni da due documenti significativi. Il primo è il rapporto “Prospettive della finanza pubblica dopo la legge di stabilità”, approvato la settimana scorsa dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, che analizza lo scenario economico europeo e nazionale e mette in guardia il Governo e le forze sociali e politiche da un possibile, ma pernicioso, utilizzo del poco fiato che i favorevoli contesti internazionali ci danno, per rallentare un processo riformatore che è invece sempre più necessario.

Tra l’altro la Corte sottolinea che:

“se gli obiettivi di razionalizzazione, efficientamento e contenimento della spesa statale sono largamente condivisi, l’effettiva realizzazione di risparmi consistenti appare un traguardo molto difficile allorché ci si misuri con le limitate categorie di spesa realisticamente aggredibili, per le quali, tra l’altro, i margini ancora disponibili per ulteriori tagli sono ridotti dalle ripetute riduzioni di risorse intervenute negli ultimi anni (si pensi al blocco di lunga data delle retribuzioni pubbliche e al “bersagliamento incessante” dei consumi intermedi; una voce di spesa che incide per meno dell’1 per cento sul totale della spesa primaria corrente delle amministrazioni centrali). Di nuovo, dunque, va riaffermato che la condizione ineludibile per ridurre una troppo gravosa pressione fiscale è che si metta in discussione il perimetro stesso dell’intervento pubblico e che si reingegnerizzino i processi produttivi dell’amministrazione pubblica”.

In parole semplici: è inutile cercare di risparmiare sulle spese se non ripensiamo la macchina. La tradizionale soluzione di prendere i budget precedenti e tagliare si è rivelata del tutto sbagliata. Una bella immagine di un libro americano di management ci dice che è come prendere una macchina che consuma troppo e ridurre il suo peso con una fiamma ossidrica e un paio di cesoie.  Ma tagliare un’autovettura non la farà diventare un’utilitaria: la farà diventare un rottame. Ci vuole un progetto nuovo.

Il secondo spunto è il bel libro di Marcello Degni e Paolo De Ioanna “Il vincolo stupido” in cui gli autori intrecciano l’analisi del panorama europeo, con i suoi automatismi e le sue rigidità “austere” e a volte “stupide”, con quella di una politica italiana che non riesce a ricreare le condizioni per la crescita. Soprattutto negli ultimi tre capitoli c’è una precisa e appassionata analisi dei fallimenti delle politiche di contenimento della spesa negli scorsi decenni e della contemporanea incapacità della politica di gestire con coerenza e costanza una politica industriale basata sull’innovazione.

Questa analisi mette ordine anche nei ruoli e nelle aspettative, senza far confusione e aspettarci ricette miracolose. Ai tecnici il lavoro dei tecnici, ossia immaginare soluzioni nuove per ripensare i problemi alla luce dell’innovazione. Un nuovo procurement per esempio non può essere la brutta copia del vecchio con qualche segno meno e qualche sforbiciata. Deve partire da altri presupposti. Prendiamo un caso: si può certo risparmiare sull’energia per climatizzare i nostri uffici pubblici, ma probabilmente non si può fare se non cambiamo l’approccio. La Consip che mette a gara non il calore erogato, ma il livello di servizio (ad es. i 20° tutto l’anno) è un buon esempio di questo necessario cambio culturale.

Ai politici però il lavoro dei politici e quindi le scelte delle priorità, il controllo della programmazione (ex ante) e del monitoraggio degli andamenti dei flussi finanziari e dei risultati di gestioni; la determinazione preliminare, precisa e condivisa di dove andranno a finire i risparmi ottenuti.
Infine ai cittadini il compito del controllo civico attraverso strumenti di chiarezza e di trasparenza. Citando il lavoro di Degni e De Ioanna: “E’ del tutto evidente che i monopoli conoscitivi si trasformino in monopoli di potere. Per questo occorre rompere il monopolio informativo del Governo, a cominciare dai dati di bilancio. A prescindere dalla costruzione di una governance più efficiente occorre rendere fruibili, controllabili e monitorabili i dati e la loro formazione e consentire a tutti di interagire con questi dati”.

Come sa chi ci segue a questo obiettivo non scontato di “open government”, attraverso una seconda e più matura fase di rilascio e utilizzo di “open data”, noi di FORUM PA stiamo dedicando da anni energie ed impegno. Anche il prossimo FORUM PA del 26-28 maggio sarà un’occasione per approfondire l’argomento anche tenendo conto delle importanti esperienze che in questo momento sono sul campo: quella del nuovo portale “open” della Regione Lazio; quella del portale dell’Agid e della Presidenza del Consiglio soldipubblici.gov.it ; infine quella di Sose opencivitas.it: lo strumento online che permette di visualizzare e confrontare il fabbisogno standard, la spesa storica e un insieme di indicatori per tutti i comuni e le province delle regioni a statuto ordinario.

In conclusione: se nessuno rimpiange né i tagli lineari, ciechi per definizione, né una ingenua spending review ad assetti costanti della macchina pubblica, un ripensamento di tutta la spesa pubblica è necessario e doveroso, ma non si fa da solo, né bastano leggi di riforma per attuarlo. Serve un costante, coerente e tenace lavoro che non abbia paura di ripensare la geografia stessa della macchina pubblica, di scardinare monopoli di potere o di informazione, di ridisegnare le funzioni e che, soprattutto, non cambi direzione ad ogni spirare del vento.

 

 

 

FONTE: Forum PA

AUTORE: Carlo Mochi Sismondi

 

 

 

spending-review