L’esecuzione di una sentenza non definitiva non fa abbandonare la materia del contendere. Si vuole semplicemente darne attuazione per evitare eventuali ulteriori spese e atti.
La Ctr non può dichiarare la cessazione della materia del contendere, se lo sgravio della cartella è stato operato solo per dare esecuzione alla sentenza di primo grado favorevole al contribuente.
Con tale comportamento, infatti, si vuole semplicemente dare spontanea esecuzione alla sentenza, cercando di evitare eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti esecutivi.
Di conseguenza, non è legittima, in questi casi, la pronuncia che dichiari la cessazione della materia del contendere, la quale presuppone un accordo tra le parti ovvero che le stesse si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso.
È questo il principio di diritto ribadito dalla Cassazione, con l’ordinanza n. 918 del 20 gennaio 2015, che ha accolto sul punto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
La vicenda processuale
La controversia trae origine dalla notifica di una cartella di pagamento emessa a seguito di un avviso di accertamento (che a sua volta aveva annullato e sostituito un precedente atto impositivo) per l’anno 2004, notificato e non impugnato nei termini di legge previsti, quindi divenuto definitivo per mancata opposizione.
Con il ricorso introduttivo, il contribuente denunciava vizi di notifica sia del prodromico avviso di accertamento sia della conseguente cartella. Con motivi aggiunti, lamentava poi la nullità del secondo avviso di accertamento per carenza dei relativi requisiti ovvero dei sopravvenuti nuovi elementi.
I giudici di primo grado accoglievano tale ultima doglianza ritenendo carente di motivazione l’avviso di accertamento.
Nel successivo atto di appello, l’Agenzia delle Entrate ricordava che l’atto impugnato era una cartella di pagamento: per questo la Ctp avrebbe dovuto giudicare solo su vizi propri di tale atto, senza entrare (come era stato fatto) nel merito dei requisiti dell’atto prodromico.
Il concessionario, oltre ad aderire all’appello dell’Agenzia, chiedeva altresì che venisse dichiarata la carenza di interesse ad agire del contribuente, in quanto nel frattempo la cartella di pagamento impugnata era stata sgravata.
La Ctr del Lazio, ai sensi dell’articolo 46 del Dlgs 546/1992, dichiarava l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere in quanto la cartella di pagamento “risulta essere stata sgravata totalmente nelle more del giudizio”.
Con l’unico motivo di ricorso per cassazione, l’Agenzia delle Entrate lamentava la violazione e falsa applicazione dell’articolo 68 del Dlgs 546/1992 e dell’articolo 329 del codice di procedura civile, sostenendo che lo sgravio era dovuto alla semplice necessità di dare provvisoria esecuzione alla sentenza di primo grado favorevole al contribuente.
La pronuncia della Cassazione e ulteriori osservazioni
La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha accolto il ricorso dell’Agenzia, ritenendolo manifestamente fondato. Di conseguenza, ha disposto il rinvio della controversia ad altra sezione della Ctr del Lazio.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, “lo sgravio della cartella di pagamento disposto in provvisoria ottemperanza della sentenza di primo grado favorevole al contribuente – comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione – non produce, di per sé solo, alcun effetto sull’avviso di liquidazione (o come nel caso di specie sull’avviso di accertamento), nel caso in cui tale atto prodromico non sia stato annullato in autotutela” (cfr Cassazione 24064/2012).
Nella prassi accade spesso che gli uffici, in aderenza al principio costituzionale di buona amministrazione, per uniformarsi alle statuizioni contenute nelle pronunce delle Commissioni di merito, dispongano lo “sgravio” del ruolo, attraverso l’eliminazione delle somme ritenute indebite dal “provvisorio” provvedimento giurisdizionale.
Questo comportamento è dettato unicamente dalla necessità e volontà di dare esecuzione alle statuizioni del giudice, non potendo produrre ulteriori effetti pregiudizievoli a carico dell’ufficio, quali l’acquiescenza alla pronuncia eseguita (con la conseguente impossibilità di impugnazione della stessa) o, come nel caso de quo, l’annullamento dell’atto prodromico in difetto di un intervento espresso in autotutela.
Sul punto, la Cassazione ha più volte evidenziato che l’esecuzione della pronuncia, oltre a poter essere originata da un comportamento spontaneo, può derivare anche dalla vera e propria necessità “…di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione” (cfrsentenze 766/2011, 24547/2009 e 2826/2008).
Un comportamento del genere non può integrare gli estremi dell’acquiescenza che, ai sensi dell’articolo 329 cpc, ricorre “soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronunzia, e cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione” (cfr ex multis Cassazione 16460/2004, 4650/2006, 26156/2006, 12384/2009 e 766/2011).
Da tali premesse si desume l’illegittimità del provvedimento di cessazione della materia del contendere, in quanto lo sgravio del ruolo, in esecuzione della pronuncia provvisoria, non ha fatto comunque venir meno l’efficacia dell’atto presupposto (da cui è scaturita l’iscrizione a ruolo), divenuto tra le altre cose definitivo per mancanza di impugnazione.
Per consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, la cessazione della materia del contendere presuppone che “le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al giudice, potendo al più residuare un contrasto solo sulle spese di lite, che il giudice con la pronuncia deve risolvere secondo il criterio della cosiddetta soccombenza virtuale” (cfr Cassazione 27598/2013, 24738/2013 e 909/2006).
In altri termini, secondo la Cassazione, è indispensabile la sussistenza di un accordo tra le parti che determini un mutamento della situazione di fatto che ha indotto il contribuente a presentare ricorso: ciò si verifica con la definizione del rapporto tributario e il venir meno della pretesa erariale.
È evidente come una tale situazione non si sia verificata nel caso di specie in cui, a seguito dello sgravio del ruolo in esecuzione della sentenza di primo grado, conserva pur sempre efficacia il prodromico avviso di accertamento divenuto tra l’altro definitivo per mancata impugnazione.
FONTE: Fisco Oggi – Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate
AUTORE: Francesco Brandi