In materia di Iva, l’articolo 58, primo comma, del Dl n. 331/1993 (convertito con legge n. 427/1993), contenente la disciplina generale degli scambi intracomunitari, dispone che “Non sono imponibili, anche agli effetti del secondo comma dell’art.8 del decreto del Presidente della repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, le cessioni di beni, anche tramite commissionari, effettuate nei confronti di cessionari o commissionari di questi se i beni sono trasportati o spediti in altro Stato membro a cura o a nome del cedente, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi. La disposizione si applica anche se i beni sono stati sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni”.
In relazione a tale disposizione, con la sentenza n. 3099/2016, la Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito a una controversia relativa alla legittimità, o meno, di un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria aveva recuperato, nei confronti di una società nazionale, la maggiore Iva dovuta dalla stessa società in relazione a talune cessioni di beni, poste in essere nell’anno 1998, da essa ritenute non imponibili in quanto effettuate nei confronti di un soggetto cessionario extra-Ue (statunitense), con pattuizione di consegna diretta della merce (a opera del soggetto italiano) nel territorio di un altro Stato membro (Gran Bretagna) a una società ivi residente, in qualità di cessionaria dello stesso soggetto americano.
Più in particolare, l’ufficio Iva aveva ritenuto che la società nazionale cedente avrebbe dovuto applicare il tributo sulle cessioni in esame, in quanto erano state da essa concluse con una società Usa non rivestente la qualità di soggetto passivo nel territorio dell’Unione europea, essendo priva (in Italia e/o in altro Stato membro) di stabile organizzazione, di rappresentante fiscale e di numero identificativo Iva; conseguentemente, le stesse operazioni avrebbero configurato, nella specie, ordinarie cessioni di beni effettuate nel territorio italiano, e quindi, come tali, soggette al tributo nazionale.
Investita della questione, la Corte – richiamando a sostegno i princìpi enunciati in un proprio precedente (decisione n. 4098/2000) e in numerosa giurisprudenza della Corte di giustizia europea (vedi, tra le varie, sentenza n. C-409/04 del 27 settembre 2007; sentenza n.C-184/05 dello stesso 27 settembre 2007; decisione n. C-430/09 del 16 dicembre 2010) – ha ritenuto legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria (a nostro avviso, correttamente), affermando infatti che “...la cessione di beni esistenti sul territorio nazionale eseguita dal cedente residente nello Stato nei confronti di cessionario extracomunitario privo di codice identificativo IVA…” (nonché non dotato di stabile organizzazione e/o di rappresentante fiscale in alcun Stato membro) “…non soltanto non costituisce una cessione all’esportazione (D.P.R. n.633 del 1972, art.8, comma 1), non essendo i beni usciti dal territorio comunitario, ma neppure integra una cessione intracomunitaria non imponibile (art.41, comma 1, lett.a), D.L. n.331 del 1993), non essendo residente il soggetto cessionario in alcun Paese membro e dunque non essendo soggetto passivo IVA: con la conseguenza che venendo ad essere perfezionata una comune cessione di beni sul territorio nazionale-D.P.R. n.633 del 1972, ex art.2, comma 1 e art.7, comma 1 (testo vigente ratione temporis), il cedente italiano è tenuto ad emettere fattura nei confronti della cessionaria extracomunitaria con applicazione dell’aliquota IVA italiana che graverà interamente sul prezzo di vendita del bene corrisposto dall’acquirente (non essendo la cessionaria USA – in quanto priva della qualità di soggetto passivo nel territorio della Comunità – titolare del diritto alla detrazione d’imposta)”.
Da parte nostra, si rileva che le conclusioni cui giungono i giudici di legittimità nella sentenza in commento si pongono pienamente in linea con il contenuto della circolare del ministero delle Finanze n. 13/1994, illustrativa dell’intera disciplina degli scambi intracomunitari contenuta nel citato Dl n. 331/1993. In tale documento di prassi, infatti, è stato affermato, al paragrafo 16.1, che le operazioni “triangolari” di cui al sopra citato articolo 58, comma 1, del cennato Dl, presuppongono l’intervento di “...due soggetti identificati ai fini IVA nel territorio dello Stato, fornitore ed acquirente dei beni, ed un soggetto estero (comunitario o non), destinatario finale dei beni”; inoltre, nel successivo paragrafo 16.3, 1° caso – in materia di “operazioni triangolari con intervento di soggetti residenti al di fuori del territorio comunitario”, proprio per l’ipotesi (analoga a quella della fattispecie dedotta in controversia) di cessione di beni a un soggetto extra-Ue con consegna da parte dell’operatore italiano in un altro Stato membro – ha espressamente puntualizzato che “…l’operatore residente non effettua né una cessione all’esportazione, poiché i beni sono diretti in altro Stato membro, né un’operazione intracomunitaria, in quanto suo cessionario è un soggetto extracomunitario…”, e che, pertanto, nei confronti di quest’ultimo, il cedente nazionale deve emettere “…fattura con addebito d’imposta, non recuperabile ai sensi dell’art.38-ter del D.P.R. n.633 del 1972”.