Qual è la relazione che intercorre tra i principi europei affermati dalla Corte di giustizia e l’attuazione da parte dei tribunali nazionali? Per rispondere a questo interrogativo, la seconda parte dell’approfondimento è dedicata alla portata delle diverse disposizioni nazionali che disciplinano i termini di decadenza e prescrizione del rimborso Iva.
Termini di decadenza e prescrizione del rimborso Iva
Il rimborso va chiesto entro un termine previsto a pena di decadenza
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha chiarito che il credito per l’Iva corrisposta in un periodo d’imposta, ma non riportato nella relativa dichiarazione annuale, può essere attivato soltanto mediante richiesta di rimborso e non anche tramite il riporto in una successiva dichiarazione. Conseguentemente, si applica il termine decadenziale per la richiesta di rimborso di cui all’articolo 30 della legge Iva e all’articolo 21, comma 2, del Dlgs 546/1992 e, soltanto a seguito del silenzio-rifiuto, il termine prescrizionale decennale di cui all’articolo 2946 cc (Cassazione, 16477/2004; 11584, 22039 e 22894 del 2006; 2446, 16257 e 21947 del 2007; 21189/2008; 6095, 6140, 6134, 7172, 9375, 17204 e 21457 del 2009; 4743, 17588 e 17589 del 2010; 13313, 13942, 19326, 19529, 20442 e 25500 del 2011).
Circa il dies a quo del termine di decadenza per la richiesta di rimborso, esso va individuato tenendo conto delle singole fattispecie di rimborso in relazione alle modalità di formazione dei titoli abilitanti a far valere i relativi diritti e dei soggetti che ne sono destinatari. Ciò ha comportato la rilevanza della prassi amministrativa al cospetto del rapporto esattoriale che vincola la banca concessionaria del servizio della riscossione al rispetto delle istruzioni impartite dall’Amministrazione finanziaria, sotto comminatoria di sanzioni, atteso che il concessionario per la riscossione, nella predetta qualità, non poteva assolutamente discostarsi dalle circolari amministrative in vigore fino a quando non fossero state cambiate. Solo da quel momento poteva quindi sorgere il presupposto del diritto alla ripetizione (Cassazione, 22250/2011; 3907/2012). Secondo un precedente orientamento giurisprudenziale, il termine di cui all’articolo 21 del Dlgs 546/1992 decorreva dal giorno dell’avvenuto pagamento del maggior tributo (Cassazione, 813/2005).
La diversità dei termini prescrizionali e decadenziali per la richiesta di rimborso dell’Iva indebitamente versata, variabili a seconda dei soggetti coinvolti e della competenza giurisdizionale del giudice adito, ha indotto la Corte suprema a rimettere la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia per stabilire se la predetta differenza rischia di compromettere l’effettività del diritto comunitario al rimborso delle imposte indebitamente versate da parte del cedente/prestatore, con la conseguente violazione dei principi comunitari di effettività, non discriminazione e neutralità fiscale (Cassazione, 18721/2010).
Al riguardo, la Corte di giustizia ha risolto la questione pregiudiziale sollevata dalla Cassazione affermando che, in base al principio di effettività, occorre garantire la restituzione dell’imposta al cedente/prestatore. In particolare, la Corte di giustizia ha chiarito al giudice nazionale che il principio di effettività non osta a una normativa nazionale in materia di ripetizione dell’indebito che prevede un termine di prescrizione per l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito, esercitata dal committente di servizi nei confronti del prestatore di detti servizi, soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto, più lungo rispetto al termine di decadenza previsto per l’azione di rimborso di diritto tributario, esercitata da detto prestatore nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, purché tale soggetto passivo possa effettivamente reclamare il rimborso dell’imposta di cui trattasi nei confronti della predetta amministrazione.
Quest’ultima condizione non è soddisfatta, qualora l’applicazione di una normativa siffatta abbia la conseguenza di privare completamente il soggetto passivo del diritto di ottenere dall’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto non dovuta che egli stesso ha dovuto rimborsare al committente dei suoi servizi (Corte di giustizia, 15 dicembre 2011, C-427/10, Banca antoniana popolare veneta).
Il diritto al rimborso è soggetto a prescrizione
In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, ai sensi dell’articolo 38-bis del Dpr 633/1972, il credito del contribuente per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto, versata in misura superiore al dovuto, si consolida decorsi due anni dal termine per la presentazione della dichiarazione annuale senza che l’Amministrazione finanziaria abbia notificato alcun avviso di rettifica o di accertamento ed è esigibile alla scadenza dei successivi tre mesi. Conseguentemente, il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso decorre a partire da due anni e tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione annuale, non essendo il diritto medesimo esigibile prima del decorso di detto termine (Cassazione, 28024/2008; 13933/2011).
Secondo tale orientamento giurisprudenziale, vale il termine iniziale decorrente dal ventisettesimo mese successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale e non dal ventesimo giorno del secondo mese successivo al trimestre di richiesta del rimborso infrannuale (Cassazione, 3025/2007; 19510/2003).
Circa l’interruzione del termine di prescrizione, la Corte di cassazione ha chiarito che l’atto con cui l’Amministrazione invita il contribuente, che abbia presentato istanza di rimborso ex articolo 38-bisdel Dpr 633/1972, a produrre documentazione non costituisce riconoscimento del debito, ai sensi dell’articolo 2944 cc, e non interrompe, quindi, il decorso della prescrizione, per difetto del requisito dell’univocità (cfr Cassazione, 4799/2014; cfr anche Cassazione, 18929 e 14930 del 2011).
In tema di rimborsi accelerati, secondo la giurisprudenza della Cassazione, ove il contribuente opti per la procedura di rimborso accelerato, ai sensi dell’articolo 38-bis, secondo comma, del Dpr 633/1972, il diritto al pagamento diviene liquido ed esigibile con il decorso del più breve termine di tre mesi dalla richiesta. Conseguentemente, dalla scadenza del terzo mese successivo alla data di presentazione della dichiarazione decorre il termine ordinario di prescrizione, sia per il capitale che per gli interessi (Cassazione, 11586/2006; 14030 e 19832 del 2009; 10507/2006).
Conseguentemente, il deposito della fidejussione, richiesta dall’articolo 38-bis del Dpr 633/1972, non interrompe il termine di prescrizione del relativo credito (Cassazione, 17376/2009).
Sullo stesso filone giurisprudenziale s’inseriscono le pronunce della Cassazione secondo cui, dal momento in cui il contribuente sceglie di azionare la procedura accelerata per il rimborso dell’eccedenza Iva, i termini di prescrizione per il medesimo decorrono inderogabilmente dal terzo mese successivo allo scadere della data di presentazione della relativa dichiarazione. Conseguentemente, il fatto che l’Amministrazione finanziaria non abbia poi eseguito il rimborso con la procedura dettata per quello accelerato, non consente di applicare alla fattispecie i termini di prescrizione previsti per il rimborso ordinario (Cassazione, 6538/2004; 27948/2009).
Esecuzione del rimborso
Secondo la giurisprudenza dell’Unione europea, le modalità nazionali di rimborso Iva devono consentire al contribuente di ottenere il rimborso in condizioni adeguate. Un sistema che non consente di prevedere la data a decorrere dalla quale il contribuente potrà disporre di fondi corrispondenti all’eccedenza dell’Iva è un sistema che non consente al soggetto passivo di recuperare in condizioni adeguate l’intero credito risultante dell’eccedenza dell’Iva senza incorrere in alcun rischio finanziario (cfr Corte di giustizia, sentenza 12 maggio 2011, causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok). Sulla condizione di adeguatezza dei sistemi nazionali di rimborso Iva, in altre pronunce della Corte è stato anche preso in considerazione il rapporto della stessa con l’esigenza di contrastare i fenomeni di frode, specie nel settore dei rimborsi. In tali occasioni, la Corte ha ritenuto che l’obiettivo della repressione delle frodi e delle evasioni fiscali non può giustificare modalità di rimborso dell’eccedenza dell’Iva più gravose per una categoria di soggetti passivi. Ciò senza che sia consentito al contribuente di dimostrare l’assenza di frodi o evasioni fiscali al fine di beneficiare di condizioni meno severe.
Altro limite posto dalla giurisprudenza europea al legislatore nazionale in materia di rimborso Iva è rappresentato dalla previsione di un termine ragionevole per l’erogazione del rimborso. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, il carattere ragionevole del termine è stato ritenuto sussistente, invece, con la previsione di un termine di effettuazione del rimborso dell’eccedenza Iva detraibile che non crei disparità di trattamento tra i soggetti passivi e tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti. Sulla base di tali premesse, un termine non perde il carattere di ragionevolezza se prorogato al fine di consentire l’effettuazione di una verifica fiscale. Sempreché la proroga non vada al di là di quanto sia necessario ai fini della proficua conclusione del procedimento di verifica (Corte di giustizia, sentenze: 10 luglio 2008, causa C-25/07, Sosnowska; 12 maggio 2011, causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok).
Il rimborso implica la corresponsione di una somma di denaro da parte dell’Erario
In proposito, la Corte di giustizia ha affermato che non vi è alcuna ragione che osti, in linea generale, a che il rimborso dell’eccedenza dell’Iva venga effettuato tramite compensazione, ove tale strumento conduce alla liquidazione immediata del credito del soggetto passivo, senza che quest’ultimo risulti esposto a rischi finanziari (Corte di giustizia, sentenza 12 maggio 2011, causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok). Secondo la giurisprudenza dei giudici Ue, prevedendo il rimborso dell’eccedenza di imposta sul valore aggiunto mediante assegnazione di titoli di Stato – per di più consegnati tardivamente – per una categoria di contribuenti in situazione di credito di imposta per il 1992, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che a essa incombono in forza degli articoli 17 e 18 della sesta direttiva del Consiglio 77/388, nella versione risultante dalla direttiva del Consiglio 10 aprile 1995, n. 95/7, che modifica la direttiva 77/388 e introduce nuove misure di semplificazione in materia di imposta sul valore aggiunto (Corte Ce, 25 ottobre 2001, C-78/00).
Con riguardo al diniego del rimborso, una parte della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il provvedimento con cui l’Amministrazione finanziaria neghi il diritto del contribuente al rimborso dell’eccedenza detraibile, regolato dal Dpr 633/1972, articolo 30, per insussistenza dei fatti costitutivi del diritto al rimborso indicati nella norma citata, senza contestare l’esistenza stessa di un’eccedenza d’imposta dovuta, non ha, neppure sostanzialmente, natura di avviso di accertamento (che presuppone necessariamente una pretesa tributaria nuova).
Ne consegue che il detto provvedimento di diniego non è soggetto al termine decadenziale stabilito dal citato Dpr 633/1972, articolo 57, per gli avvisi di accertamento, potendo sempre essere emanato finché il contribuente abbia il diritto di ottenere il rimborso dell’eccedenza (Cassazione, 194/2004; 29398/2008; 8642/2009). Il termine entro cui detto provvedimento di diniego deve essere comunicato al contribuente è quello ordinario decennale di cui all’articolo 2946 cc. Secondo tale orientamento giurisprudenziale, il diniego di rimborso dell’eccedenza detraibile soggiace al termine di cui al Dpr 633/1972, articolo 57, se esso dipenda dalla contestazione della sussistenza dell’eccedenza detraibile indicata dal contribuente, mentre non vi soggiace se, pacifica tale sussistenza, vengano contestati i requisiti per l’accesso al rimborso contemplati dall’articolo 30 del Dpr 633/1972 (Cassazione, ordinanza 8810/2013; sentenza 1039/2013)