IVA su rapporti consorzi e consorziati, chiarimenti sull’applicazione. Una pronuncia della Corte suprema ha chiarito quali sono i termini di applicazione, con particolare riferimento a un caso di prestazione di servizi di vigilanza remunerata.
In materia di Iva e di imposte dirette, le prestazioni effettuate dai consorzi in favore dei propri associati costituiscono operazioni imponibili e reddito d’impresa, anche laddove rientrino nell’ambito dei compiti istituzionali dell’ente, allorché siano effettuate dietro pagamento di un corrispettivo specifico che eccede i costi di diretta imputazione. E ciò vale anche relativamente ai servizi di vigilanza sui beni degli associati, resi, in virtù di specifica autorizzazione prefettizia, tramite guardie giurate, atteso che l’esenzione dall’Iva per l’attività di vigilanza è limitata alle sole prestazioni rese dalle guardie giurate quali lavoratori autonomi. I consorzi sono dunque ricompresi fra i soggetti che possono effettuare esercizio di impresa, sicché hanno l’obbligo di istituire una regolare contabilità fiscale e di emettere fatture relative ai compensi percepiti dai consorziati.
La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 28702 del 9 novembre 2018, ha chiarito quali sono i termini di applicazione dell’Iva nei rapporti tra consorzio e consorziati, con particolare riferimento a un caso di consorzio su servizi di vigilanza.
Nella specie, la Ctr della Puglia aveva parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Ctp di Foggia, che aveva, a sua volta, accolto, previa riunione dei ricorsi separatamente proposti, l’impugnazione di un consorzio nei confronti di due avvisi di accertamento, con i quali, con riferimento alle annualità d’imposta 1999 e 2000, l’Amministrazione finanziaria contestava il mancato assoggettamento a Iva dell’attività di custodia e vigilanza svolta in favore dei consorziati, l’omessa fatturazione dei corrispettivi e la mancata presentazione delle relative dichiarazioni.
L’ufficio riteneva infatti che il contributo versato dai consorziati al consorzio rappresentava il corrispettivo di prestazioni di servizio rese nell’esercizio dell’attività commerciale, in base al combinato disposto dell’articolo 4, commi 2 e 3, del Dpr 633/1972.
La Ctr motivava dunque il parziale accoglimento dell’appello dell’Agenzia, evidenziando che:
- il consorzio forniva prestazioni di servizi e di vigilanza anche a soggetti diversi dai consorziati privati e per beni non aventi natura di fondi agricoli, sicché dette prestazioni erano da assoggettare a Iva ex articolo 4, Dpr 633/1972
- in ogni caso, l’ufficio doveva tener conto della detraibilità dell’Iva sugli acquisti, ai sensi dell’articolo 19, Dpr 633/1972, svolgendo il consorzio attività d’impresa.
Sia il consorzio che l’Agenzia delle entrate proponevano, infine, separati ricorsi per cassazione.
L’esame del caso
Con il primo motivo di ricorso principale, il consorzio deduceva insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla natura imprenditoriale dell’attività consortile e della conseguente assoggettabilità a Iva, nonché violazione e falsa applicazione dell’articolo 10, primo comma, n. 26, Dpr 633/1972, evidenziando come solo trentatré soggetti sugli oltre mille consorziati erano imprenditori commerciali e che i beni sottoposti a vigilanza erano unicamente quelli dei proprietari consorziati, con conseguente applicabilità del regime di esenzione previsto dall’articolo 10 citato.
Il motivo di impugnazione, secondo la Corte suprema, era comunque inammissibile, in quanto, sotto un primo profilo, difettava di autosufficienza, non essendo stato allegato o trascritto il processo verbale di costatazione, dal quale si evincesse che l’attività di vigilanza del consorzio era diretta esclusivamente ai beni dei consorziati e non a quelli di estranei, che tra i consorziati il numero degli imprenditori commerciali era di sole trentatré unità su oltre mille consorziati e che a questi ultimi sarebbe stata comunque applicabile l’esenzione Iva, secondo quanto affermato dalla circolare 23/2009 dell’Agenzia delle entrate (peraltro, riferentesi a disciplina sopravvenuta e, dunque, inapplicabile alla controversia in esame).
Sotto altro profilo, inoltre, la Ctr, con accertamento in fatto, aveva comunque ritenuto che:
- da un esame dello statuto del consorzio si evinceva che l’attività esercitata poteva rientrare pienamente in quella di impresa
- lo svolgimento di tale attività per il consorzio necessitava di una struttura organizzativa tale da non potere escludere la sussistenza di un’impresa
- tra i partecipanti al consorzio vi erano anche imprenditori commerciali
- la semplice circostanza che la fonte primaria di finanziamento fosse costituita dai contributi versati dai consorziati non giustificava il diritto all’esenzione Iva, atteso che tale esenzione doveva essere limitata alle sole prestazioni rese direttamente dalle guardie giurate, in qualità di lavoratori autonomi, ai privati e agli enti, ma non anche alle prestazioni fornite dagli istituti di vigilanza privata previsti dal regio decreto legge 2144/1936, tra i quali rientrava appunto il consorzio in esame.
Il consorzio
La qualificazione del consorzio come soggetto esercente attività commerciale e la non spettanza della esenzione prevista dall’articolo 10, primo comma, n. 26, Dpr 633/1972, trovava inoltre valido supporto argomentativo anche nella stessa giurisprudenza di legittimità, che aveva rilevato, in modo inequivoco, l’intento del legislatore di non comprendere, in ogni caso, nell’esenzione o esclusione Iva le prestazioni svolte dagli istituti di vigilanza (cfr Cassazione, 16101/2011, 8155/2011 e 1039/2005).
La stessa Corte, con riferimento ai consorzi, aveva del resto specificato che: “in materia d’IVA e d’imposte dirette, le prestazioni effettuate dai consorzi in favore dei propri associati costituiscono operazioni imponibili e reddito d’impresa, anche laddove rientrino nell’ambito dei compiti istituzionali dell’ente, allorché siano effettuate dietro pagamento di un corrispettivo specifico che eccede i costi di diretta imputazione, essendo determinato in funzione delle maggiori o diverse prestazioni a cui dà diritto. Ciò vale anche relativamente ai servizi di vigilanza sui beni degli associati, resi, in virtù di specifica autorizzazione prefettizia, tramite guardie giurate, atteso che l’esenzione dall’IVA per l’attività di vigilanza è limitata alle sole prestazioni rese dalle guardie giurate quali lavoratori autonomi” (cfr Cassazione, 7593/2015).
I consorzi, in conclusione, sono ricompresi fra i soggetti che possono effettuare esercizio di impresa, svolgendo un’attività esterna nei confronti dei terzi, che ne connota la qualità di imprenditore, avendo quindi l’obbligo di istituire una regolare contabilità fiscale e di emettere fatture relative ai compensi percepiti dai consorziati.
Anche i contributi versati dai consoci assumono pertanto rilevanza fiscale, configurandosi come corrispettivi di specifiche prestazioni di servizi, come tali rilevanti ai fini dell’applicazione dell’Iva, ai sensi dell’articolo 3, Dpr 633/1972 (cfr Cassazione, 9224/2008 e 667/2014).
Il ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate, che deduceva la violazione dell’articolo 112 del codice di procedura civile, avendo la Ctr pronunciato ultrapetita, nel riconoscere all’appellato contumace il diritto alla detrazione Iva, mai richiesto in sede di ricorso introduttivo, che aveva riguardato unicamente il disconoscimento dell’esenzione Iva, era invece fondato.
Evidenziano infatti a tal proposito i giudici di legittimità che il diritto alla detrazione dell’Iva, ai sensi dell’articolo 19 del Dpr 633/1972, non risultava essere stato mai richiesto dal contribuente, contumace in appello, nemmeno con il ricorso in primo grado, sicché la Ctr non poteva provvedervi d’ufficio. L’accoglimento di tale motivo comportava inoltre l’assorbimento delle altre censure avanzate dall’Agenzia, sempre in tema di diritto alla detrazione, con il ricorso incidentale.
La decisione
Tanto premesso, si evidenzia che la funzione mutualistica dei consorzi, desumibile dall’articolo 2602 del codice civile, non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale con scopo di lucro. L’esercizio di un’impresa commerciale e il relativo intento di lucro non sono infatti inconciliabili con lo scopo mutualistico (cfr Sezioni unite, 12190, 12191, 12192, 12193 e 12194 del 2016).
Ciò posto, la distinta soggettività fiscale e l’autonoma responsabilità delle obbligazioni tributarie connesse alle operazioni poste in essere da ciascuna consorziata, nonché dalla società consortile, comportano comunque la necessaria distinzione tra le operazioni realizzate dalla società consortile, in esecuzione del patto mutualistico, e quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale della società consortile.
I riflessi fiscali delle operazioni poste in essere dai consorzi devono essere quindi esaminati caso per caso, sulla base del contenuto dell’atto costitutivo e in dipendenza della natura concretamente attribuibile alle operazioni compiute (cfr Cassazione, 21863/2016).