Secondo la costante giurisprudenza dell’Unione, le caratteristiche essenziali dell’Iva sono quattro: si applica in modo generale alle operazioni aventi a oggetti beni e servizi; è proporzionale al prezzo percepito dal soggetto passivo quale controprestazione dei beni e servizi forniti; viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione, compresa quella della vendita al minuto, a prescindere dal numero di operazioni effettuate in precedenza; gli importi pagati in occasione delle precedenti fasi del processo sono detratti dall’imposta dovuta, cosicché il tributo si applica, in ciascuna fase, solo al valore aggiunto della fase stessa, e in definitiva il peso dell’imposta grava sul consumatore finale (Corte di giustizia: sentenze: 28/10/2010, C‑49/09, Commissione/Polonia; 15/01/2009, C-502/07, K-1; 23/04/2009, C-426/07, Krawczyński; 11/10/2007, cause riunite C‑283/06 e C‑312/06, KÖGÁZ).
Il sistema comune dell’Iva poggia in particolare su due principi. Da un lato, l’Iva viene riscossa su ogni prestazione di servizi e su ogni cessione di beni effettuate a titolo oneroso da un soggetto passivo. Dall’altro, il principio di neutralità fiscale si oppone a che operatori economici che effettuano le stesse operazioni siano trattati diversamente in materia di riscossione dell’Iva (Corte di Giustizia, sentenze: 18/10/2007, C-97/06, Navicon SA; 16/09/2004, C-382/02, Cimber Air A/S).
La predetta giurisprudenza trova espresso riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui, per i soggetti passivi obbligati nei confronti dell’Erario (imprenditori o lavoratori autonomi), l’applicazione dell’imposta è, in via di principio, neutrale, atteso che l’Iva sulle operazioni attive è da essi trasferita sui clienti mediante la rivalsa, mentre l’imposta sulle operazioni passive (acquisti effettuati) è recuperata mediante detrazione dall’imposta dovuta, sub specie di un credito, derivante da compensazione, vantato nei confronti dell’Erario.
Quest’ultimo acquisisce, invero, a ogni passaggio del ciclo produttivo-distributivo (produttore – grossista – dettagliante – consumatore), solo l’eventuale differenza, o frazione, tra l’imposta sulle operazioni attive e quella sugli acquisti, ovvero la cifra maturata a debito del soggetto passivo obbligato, nella periodica sommatoria di Iva a credito e a debito (“valore aggiunto”). In tal senso, l’Iva corrisposta dai soggetti passivi è periodica e neutrale, giacchè il tributo viene in definitiva a gravare sul consumatore finale, il quale – pur non essendo debitore verso l’Erario – subisce la rivalsa giuridica senza potere, a sua volta, detrarre l’imposta.
L’Iva si atteggia, dunque, secondo quanto sancito anche dal diritto comunitario, come un’imposta generale sul consumo di beni e servizi che, attraverso il sistema delle rivalse e delle detrazioni, persegue l’obiettivo di operare un prelievo definitivo sul consumatore finale. Per il che, la giustificazione comunitaria e costituzionale (articoli 3 e 53 della Costituzione) del tributo – nel meccanismo applicativo sopra descritto – risiede indubbiamente nel tassare il consumo e nel rendere neutrale, per i soggetti passivi dell’imposta, il prelievo nelle fasi precedenti del ciclo produttivo-distributivo (Cassazione, sentenze 14/12/2012, nn. 23078, 23077, 23076, 23075, 23074).
Per costante giurisprudenza della Corte suprema, in tema di Iva, i tre rapporti che discendono dal compimento dell’operazione imponibile (1. tra amministrazione finanziaria e cedente, relativamente al pagamento dell’imposta; 2. tra cedente e cessionario, in ordine alla rivalsa; 3. tra amministrazione e cessionario, per ciò che attiene alla “detrazione dell’imposta” assolta in via di rivalsa), pur essendo collegati, non interferiscono tra loro. Ne consegue che:
- il cedente non può opporre al cessionario – il quale agisca nei suoi confronti per restituzione dell’indebito – l’avvenuto versamento dell’imposta
- il cessionario non può opporre all’amministrazione – che escluda la detrazione della imposta erroneamente liquidata in fattura – che l’imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all’amministrazione medesima
- solo il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (cfrCassazione, sentenza 14933/2011; vedi, con riferimento alla triplice natura dei rapporti che derivano dalla medesima operazione economica: Cassazione, sentenza 4020/2012).
Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione, il principio dell’autonomia dei rapporti sopra enunciato riflette, tuttavia, una impostazione statica dei rapporti in questione, che debbono più correttamente essere riguardati tenendo conto che il cessionario, di norma, è al tempo stesso anche soggetto passivo d’imposta in relazione alle operazioni attive dallo stesso realizzate (Cassazione, sentenza 17174/2015).
Secondo tale orientamento, il rapporto di natura privatistica tra cedente e cessionario (che da luogo alla giurisdizione dell’Ago, venendo meno la connotazione tributaria del rapporto controverso) si configura laddove il cessionario rivesta la posizione di “consumatore finale”, e cioè a dire si identifichi nel soggetto definitivamente inciso dalla imposta (cfr Cassazione, sentenze 1147/2000 e 2686/2007), diversamente riemergendo il rapporto tributario – con conseguente legittimazione del soggetto cessionario ad agire nei confronti della Amministrazione finanziaria – tutte le volte in cui l’Iva, indebitamente versata in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati all’esercizio dell’attività economica, venga a riflettersi sulla liquidazione finale dell’imposta, esposta nella dichiarazione annuale del contribuente, qualora il Fisco contesti, in tutto o in parte, che l’Iva versata in rivalsa non poteva essere portata in detrazione (o se eccedente, non poteva essere esposta a credito), in quanto relativa a operazione esente o non imponibile ovvero in quanto assoggettabile a una aliquota inferiore rispetto a quella indicata erroneamente in fattura (cfr Cassazione, sentenze 20752/2008, 12433/2011, 18425/2012).
Tale orientamento nazionale è in linea con quello della Corte di giustizia espresso con la sentenza del 15/12/2011, nella causa Banca Antoniana Popolare Veneta SpA, C-427/10, secondo cui è pienamente compatibile con i principi di neutralità, effettività e non discriminazione, relativi all’Iva, una normativa nazionale in cui, da un lato, il prestatore che ha versato erroneamente l’Iva alle autorità tributarie è legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore. Tale sistema, infatti, consente a detto destinatario gravato dell’imposta erroneamente fatturata di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate (cfr anche Corte di giustizia, sentenza 15/3/2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH), non potendo lo Stato membro impedire, tuttavia, al destinatario del servizio (o al cessionario) di conseguire la restituzione dell’importo dell’imposta indebitamente fatturata, direttamente dall’Amministrazione finanziaria nel caso in cui l’azione civilistica nei confronti del prestatore di servizi (o del cedente) risulti impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso di insolvenza del prestatore (o del cedente).
Sulla base dei principi europei, secondo la Corte di cassazione, la scadenza del termine di decadenza biennale previsto per l’azione di rimborso di diritto tributario, non impedisce l’esercizio del diritto del soggetto passivo di ottenere dall’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’Iva. Ciò, unicamente se quel rimborso ha ad oggetto l’Iva non dovuta che egli stesso ha dovuto rimborsare al committente dei suoi servizi. Il soggetto passivo, pertanto, dopo la scadenza del termine decadenziale previsto per l’azione di rimborso di diritto tributario, può chiedere il rimborso dell’Iva non dovuta non già per qualsiasi imposta della quale il committente di servizi possa pretendere o pretenda il rimborso da lui per la sua qualità di prestatore di detti servizi, né per quella che egli abbia rimborsato spontaneamente, ma esclusivamente per quell’imposta il cui rimborso in favore del committente sia stato effettivamente eseguito in esecuzione di un provvedimento coattivo di rimborso a suo danno e in favore del committente (Cassazione, sentenza 12666/2012).