Non si tratta, infatti, di un mero errore formale privo di conseguenze sostanziali, poiché può determinare minori incassi per il Fisco e il pagamento di rimborsi non spettanti.
Difatti, chiariscono i giudici, le norme che stabiliscono i tempi e le modalità di registrazione delle fatture Iva (articoli 23 e 25 del Dpr 633/1972) “pongono in essere obblighi generalizzati di annotazione, – fissando modalità ben precise –, che non trovano deroga in altre disposizioni di legge, essendo collegate alle scansioni temporali dei versamenti dell’IVA”.
In sostanza, si tratta di obblighi preordinarti all’attività di controllo degli uffici e come tali non derogabili.Fatto
La sentenza in commento riguarda il caso di una società a cui l’ufficio aveva notificato un avviso di rettifica Iva, contestando l’omessa contabilizzazione di ricavi e la tardiva fatturazione di talune operazioni.
Il ricorso proposto dalla società innanzi al giudice di primo grado veniva rigettato, mentre la Ctr del Lazio accoglieva le doglianze della ditta argomentando che l’elemento presuntivo (saldo negativo di cassa) posto a base della rettifica non poteva essere l’unico a sostenere il processo logico-presuntivo previsto dall’articolo54 del Dpr 633/1972.
I giudici di merito, inoltre, ritenevano non dovuta la sanzione per tardiva registrazione delle operazioni imponibili, non avendo il ritardo inciso sulla quantificazione del tributo o sul suo accertamento.Di contro, la Cassazione, su ricorso dell’Amministrazione finanziaria, ha ribadito due principi di diritto: quello secondo cui la contabilità regolare non impedisce il ricorso al metodo induttivo e alle presunzioni semplici (articoli 2727 e 2729 del codice civile) anche se l’elemento presuntivo posto a fondamento della rettifica sia uno solo, e quello in base al quale “l’omessa annotazione di fatture negli appositi registri entro i termini di legge, quanto la mancata conseguente contabilizzazione nell’esercizio di competenza devono essere considerate delle irregolarità sostanziali”.Decisione – osservazioni
I giudici, nel riconoscere natura sostanziale alle violazioni contestate ai fini Iva, osservano che: “la fattispecie di omessa registrazione delle fatture nell’anno solare e di inesatta dichiarazione e versamento si configurano per il solo fatto oggettivo che il contribuente abbia determinato, con il proprio comportamento, il rischio per l’amministrazione di non conseguire il pagamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione annuale, ovvero di effettuare un rimborso non dovuto, e trovano puntuale riscontro nel regime sanzionatorio previsto dai richiamati artt. 42, 43 e 44”.La Corte, quindi, ritiene irrilevanti sul piano giuridico le valutazioni di ordine soggettivo (buona fede), visto che l’omessa registrazione viene sanzionata per il solo fatto di aver determinato il rischio, per l’Erario, di non conseguire il pagamento dell’imposta.
Le formalità previste dall’articolo 23, aggiungono i giudici, trovano ragion d’essere nel particolare meccanismo delle detrazioni che opera a favore del cessionario di beni o della prestazione di servizio.
La tardiva registrazione, infatti, pregiudica l’attività di controllo degli uffici: da un lato, i soggetti contraenti, tramite la registrazione delle fatture, determinano correttamente l’imposta a debito o a credito, e dall’altro gli adempimenti formali consentono all’Amministrazione la ricostruzione delle operazioni attive e passive loro riferibili.
Siffatte conclusioni trovano conferma nella particolare natura giuridica dell’Iva; come sancito dall’articolo 20 del Dpr 633/1972 e ribadito dalla Corte di cassazione (Cassazione, sentenza 7150/2001), “l’iva è un’imposta periodica che deve essere liquidata sulla base del volume d’affari realizzato in ciascun anno solare, quale parametro di riferimento per la determinazione dello stesso volume d’affari”.
Su posizione analoghe si attesta la dottrina, secondo cui l’imposta sul valore aggiunto è un’imposta periodica nel senso che a ogni periodo corrisponde un rapporto giuridico autonomo, in quanto “tutte le vicende relative al periodo sono destinate ad esaurirsi con la definitività dell’accertamento, analogamente a quanto avviene per le imposte dirette”.
Inoltre, il rigore formale del citato articolo 23, come già evidenziato dalla giurisprudenza (Cassazione, sentenza 9195/2011), trova riscontro anche nella disciplina dettata dall’articolo 26 dello stesso decreto, dove il legislatore detta al contribuente indicazioni precise nel caso di errori o possibili variazioni dell’imponibile.
La Corte di cassazione, infatti, ha affermato che “l’art.26 va interpretato nel senso che ciò che rileva per volontà legislativa, non è tanto la modalità secondo cui si manifesta la causa di variazione dell’imponibile Iva, quanto piuttosto che, tanto della variazione, quanto della sua causa, si effettui registrazione ai sensi degli artt.23, 24 e 25”.
Di certo, la registrazione delle fatture nell’esercizio successivo a quello di competenza non può rientrare nell’alveo delle violazioni formali.
L’articolo10 della legge 212/2000, all’ultimo comma, infatti, esclude l’irrogazione delle sanzioni “quando la violazione….si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito d’imposta”.
In senso conforme, l’articolo 6 del Dlgs 32/2001, secondo cui “non sono punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’azione di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”.
In definitiva, la volontà del legislatore è quella di preservare in toto l’attività di controllo degli uffici e quella di riscossione del gettito fiscale, specie se in presenza di comportamenti, quali l’omessa registrazione, che influiscono sulla determinazione del volume d’affari e del conseguente debito d’imposta.