IRAP: le regole sull’assoggettamento degli studi professionali associati. Non è necessario procedere a una valutazione della consistenza dei beni impiegati o dell’utilizzo di lavoro altrui per verificare la sussistenza dell’autonoma organizzazione.
IRAP: le regole sull’assoggettamento degli studi professionali associati
Poiché l’attività degli studi associati costituisce ex lege presupposto per l’assoggettamento a Irap – escludendosi in tale ipotesi la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione – non assume alcun rilievo la diversità delle competenze e professioni esercitate dagli associati. L’unica prova contraria rilevante non è l’assenza di un apparato organizzativo, ma proprio l’assenza di una associazione.
Sono le conclusioni raggiunte nella sentenza n. 21164 del 19 ottobre 2016, nella quale la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi – dopo la nota sentenza delle sezioni unite 7371/2016 – sulla questione dell’assoggettamento a Irap degli studi associati, affrontando la particolare fattispecie dello studio composto da professionisti esercenti attività differenti.
Viene così ribadito ulteriormente l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità sulla questione [1].
La vicenda processuale
Il contenzioso esaminato dalla Corte suprema trae origine dal ricorso proposto da uno studio associato [2], composto da esercenti la professione di avvocato e di commercialista, avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria in relazione a una istanza di rimborso dell’Irap versata per gli anni d’imposta 1999-2003.
La Ctr del Friuli Venezia Giulia ha confermato la decisione di primo grado della Ctp di Gorizia, favorevole all’ufficio, ritenendo non spettante il rimborso richiesto poiché l’esercizio in forma associata di una professione liberale “è circostanza di per sé idonea a fra presumere un’autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorché l’onere economico non sia di particolare importanza, nonché dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente con la conseguenza che legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato all’Irap, a meno che il contribuente non dimostri che il reddito suddetto sia derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati, prova che nel caso in esame non risulta concretamente fornita”.
La sentenza della Ctr è stata impugnata avanti la Corte di cassazione dallo studio associato, che ha ribadito – come nei gradi precedenti – che, nel caso di specie, ciascun professionista ha svolto la propria attività senza avvalersi degli altri associati, poiché gli stessi possiedono qualifiche professionali ben diverse tra loro, con conseguente «autorganizzazione» individuale dell’attività di ciascuno.
La modesta entità dei beni impiegati e l’assenza di collaborazione di terzi avrebbero poi dovuto condurre il giudice a escludere la sussistenza dell’autonoma organizzazione. La motivazione della sentenza di secondo grado, a parere del ricorrente è, quindi, solo apparente, poiché non emerge il motivo per il quale le competenze degli associati sarebbero interscambiabili né la ragione per cui la documentazione prodotta in giudizio non è idonea a provare il contrario.
La decisione
La Corte di cassazione ha respinto le eccezioni del ricorrente studio associato in ordine ai vizi della motivazione, ritenuta non meramente apparente, ma tale da consentire di comprendere in modo chiaro e univoco il percorso logico seguito dai giudici dell’appello.
Nel merito, i giudici di legittimità hanno poi affermato l’infondatezza del ricorso alla luce delle statuizioni contenute nella sentenza n. 7371 delle sezioni unite dello scorso 14 aprile, secondo cui l’attività degli studi associati “in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione”.
Non è quindi, necessario, procedere a una valutazione dell’entità dei beni impiegati o dell’utilizzo di lavoro altrui, ai fini della verifica della sussistenza dell’autonoma organizzazione, poiché tale requisito è in ogni caso presente nell’ipotesi di esercizio dell’attività “in forma associata” [3].
Nella esposta prospettiva – a parere della Corte suprema – “nessun rilievo può assumere la diversità delle competenze e professioni esercitate dagli associati, così come la diversità e autonomia della fonte dei rispettivi redditi degli associati, dal momento che l’unica prova contraria rilevante rimane non già l’assenza di un apparato organizzativo (in realtà sempre implicito nella struttura associativa dello studio) ma proprio l’assenza di una associazione”. Nel caso esaminato, tale prova “non risulta nemmeno ipotizzata, essendo anzi in radice contraddetta dalla stessa imputazione del ricorso e del debito d’imposta all’ente collettivo in cui si identifica per l’appunto lo studio associato”.
[1] La questione ha costituito oggetto anche della recente risposta a un’interrogazione parlamentare, nella quale il rappresentante del governo ha evidenziato che il requisito dell’autonoma organizzazione assume rilevanza solo nelle ipotesi in cui l’attività sia esercitata in forma individuale e non in forma associata, posto che in quest’ultimo caso lo stesso si ritiene comunque sussistente. Sul punto, oltre all’intervento delle sezioni unite, viene richiamato l’orientamento consolidato della Cassazione, sezioni semplici (cfr tra le altre, sentenze 11327/2016, 4578/2015, 25313/2014 e ordinanze 27007/2014, 23002/2011, 13716/2010).
[2] Legale, tributario e commerciale.
[3] Nel solco delle sezioni unite, la Corte di cassazione, con la recente ordinanza n. 19975 del 5 ottobre 2016, ha ribadito il medesimo principio anche in relazione a un’associazione professionale tra soggetti svolgenti l’attività di musicisti.