A “smontare” i presupposti dell’imposta sono un’attività svolta soltanto con gli strumenti indispensabili e un collaboratore che svolga semplici funzioni di segreteria o simili. L’agente di commercio deve l’Irap se impiega un familiare con mansioni e retribuzione rilevanti. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza 17429 del 30 agosto 2016.
I fatti di causa
Un agente di commercio ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi a seguito dell’istanza di rimborso Irap, da lui versata per gli anni dal 2000 al 2004.
Diversamente dalla Commissione tributaria provinciale che ha respinto il ricorso del contribuente, il giudice di secondo grado, in parziale accoglimento del suo appello, ha disposto il rimborso dell’imposta versata dal 2000 al 2003, dichiarando non dovuto il rimborso per il 2004. In particolare, la Ctr è stata chiamata a verificare la presenza di elementi probatori relativi all’esistenza dei presupposti del tributo, in applicazione del principio di legittimità (Cassazione, pronunce 3682/2007 e 7734/2008) secondo il quale l’autonoma organizzazione sussiste solo se sono impiegati beni strumentali eccedenti, secondo l’id plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività oppure se ci si avvale in modo non occasionale del lavoro altrui.
Di conseguenza, sulla base delle dichiarazioni dei redditi del contribuente e dell’elenco dei cespiti ammortizzabili, depositati agli atti del fascicolo di primo grado, il giudice di appello ha escluso, per il periodo 2000-2003, l’autonoma organizzazione, ritenendo che i beni strumentali utilizzati non erano eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività. Si trattava, infatti, di un’autovettura, di una stampante, di un fax e di un telefono.
Per l’anno d’imposta 2004, invece, la Commissione regionale ha concluso che l’agente di commercio non aveva dimostrato come si svolgeva il rapporto di collaborazione che emergeva dal quadro RG della dichiarazione dei redditi. Non aveva chiarito, cioè, se si trattava di un intervento occasionale o continuativo, nonostante l’esiguità della spesa (circa 5mila euro).
L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione denunciando, ex articolo 360 n. 5 cpc, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La Ctr, in pratica, non aveva preso in considerazione quanto evidenziato dall’ufficio in ordine alla presenza, nelle dichiarazioni relative agli anni 2000-2003, di quote di collaboratori familiari (27.079 euro per il 2000, 29.429 euro per il 2001, 37.563 euro per il 2002 e 21.672 euro per il 2003).
La Cassazione ha accolto il ricorso, ribadendo che, con riguardo al presupposto dell’Irap, il requisito dell’autonoma organizzazione ex articolo 2 del Dlgs 446/1997, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, “…ricorre quando il contribuente, a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.
Osservazioni
La Corte suprema ha applicato anche all’agente che utilizza un collaboratore familiare, il principio affermato dalle Sezioni unite, nella sentenza 9451/2016, confermando, quindi, con alcune precisazioni, le statuizioni già espresse in precedenti pronunce.
Ha ritenuto, infatti, che non è sufficiente, per configurare il requisito dell’autonoma organizzazione, che il contribuente si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, ma quest’ultimo deve superare “la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.
In particolare, dopo aver affermato l’irrilevanza, ai fini Irap, della disciplina dell’impresa familiare prevista per la determinazione del reddito d’impresa riguardo alle imposte sui redditi (imputato a ciascun familiare che abbia prestato “in modo continuo e prevalente” la sua attività) e l’equiparazione dei familiari che partecipano all’impresa ai collaboratori non occasionali (sentenza 10777/2013), la Cassazione (sentenza 1537/2014 e ordinanza 22628/2014) ha precisato che, ai fini della verifica del requisito dell’autonoma organizzazione, integrante il presupposto impositivo Irap, deve ritenersi che la collaborazione dei partecipanti all’impresa familiare integri quel quid plurisdotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare (etero-organizzazione dell’esercente l’attività).
E, ancora, la Corte ha affermato che, nonostante il limitato “complesso della strumentazione a disposizione”, la presenza di un collaboratore familiare è di per sé sufficiente, pur se non espressamente richiamata dal Dlgs 446/97, a configurare un’attività imprenditoriale assoggettabile a Irap (ordinanza 12616/2016).
Nella fattispecie al suo esame, invece, la Corte ha cassato la sentenza impugnata in quanto la Commissione regionale non aveva in alcun modo preso in considerazione il fatto controverso rappresentato dalle dette “quote di collaboratori familiari”. Di conseguenza, in ordine alla valutazione della presenza di lavoro non occasionale che superava la soglia dell’impiego di un collaboratore esplicante mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive, la motivazione della sentenza era insufficiente.
Sarà il giudice del rinvio a riesaminare la fattispecie, facendo applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni unite, considerando soprattutto i corrispettivi non esigui elargiti allo stesso collaboratore che, quindi, doveva svolgere mansioni non meramente esecutive o di segreteria.