L’Agenzia delle entrate risponde al primo interpello sui nuovi investimenti e lo fa con la risoluzione n. 4/E del 17 gennaio 2017.
L’amministrazione finanziaria è stata sollecitata dalla richiesta di un importante gruppo estero che ha utilizzato lo strumento previsto dall’articolo 2 del “decreto internazionalizzazione”. Come noto, in attuazione della legge delega fiscale (legge 23/2014), è stato adottato il Dlgs 147/2015, il cui articolo 2, appunto, introduce nell’ordinamento tributario l’interpello sui nuovi investimenti, mediante il quale le imprese che intendono effettuare rilevanti investimenti in Italia (di ammontare non inferiore a 30 milioni di euro) e che abbiano significative e durature ricadute occupazionali possono sottoporre all’Agenzia delle Entrate il relativo piano di investimento, allo scopo di conoscerne il trattamento fiscale. A sua volta, l’Agenzia pubblica le posizioni interpretative fornite in risposta agli interpelli aventi portata di interesse generale (comma 5, articolo 2).
Il gruppo istante rappresenta la volontà di effettuare un investimento in Italia, la cui implementazione avverrà in tre fasi: incremento della produzione in uno stabilimento già presente nel territorio nazionale, creazione di una nuova linea di produzione nel medesimo stabilimento e creazione in Italia di un centro di immagazzinamento e distribuzione (hub logistico). L’istante evidenzia come l’investimento in esame presenta le caratteristiche richieste dal citato articolo 2, in quanto comporterà l’ampliamento e il potenziamento di uno stabilimento già presente in Italia e la diversificazione della produzione ivi svolta, producendo significative e durature ricadute occupazionali (in particolare, assunzione di 90 dipendenti full time). Inoltre, il suo valore complessivo supera la soglia dei 30 milioni di euro.
Il nuovo investimento, infine, impatterà in maniera rilevante sul sistema fiscale italiano sia in termini di gettito Irpef, derivante dai redditi di lavoro dipendente dei nuovi assunti, sia in termini di gettito Ires e Irap, in relazione al reddito d’impresa generato dalle nuove attività di produzione localizzate in Italia. Ciò premesso, l’impresa chiede all’Agenzia chiarimenti in ordine alla configurabilità o meno quale stabile organizzazione dell’hub logistico previsto dal business plan. Inoltre, l’amministrazione è sollecitata a esprimersi anche con riguardo al trattamento Iva di una serie di operazioni di acquisto e successiva rivendita di prodotti connesse al piano d’investimento ed effettuate da parte di una delle consociate.
Quando un hub logistico non configura stabile organizzazione
Il piano di investimento prevede, tra l’altro, la creazione in Italia di un centro di immagazzinamento e distribuzione che servirà come piattaforma di distribuzione nel mondo da parte di una società consociata (società Beta) dei prodotti provenienti da vari stabilimenti del gruppo. Il centro sarà gestito da un fornitore professionale di servizi logistici (fornitore terzo o parte correlata) sulla base di un contratto di servizi stipulato con Beta. Il gruppo ritiene che l’hub logistico così strutturato non configuri una stabile organizzazione in Italia della consociata, in quanto lo stesso costituisce uno spazio utilizzato come deposito fiscale, deposito doganale e deposito Iva, in cui saranno immagazzinati prodotti finiti di proprietà di Beta fino alla loro estrazione e distribuzione.
Parere dell’Agenzia
Secondo il modello Ocse, per “stabile organizzazione” deve intendersi una “sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”. Elemento costitutivo della nozione, quindi, è la sussistenza di una “sede fissa di affari” (locali, infrastrutture, installazioni) utilizzata (esclusivamente o meno) per l’esercizio dell’attività industriale o commerciale dell’impresa. L’hub che l’istante intende creare in Italia consisterà nell’utilizzo di locali autorizzati quali depositi fiscali, doganali e Iva. In linea di principio, sottolinea l’Agenzia, un centro di immagazzinamento o deposito situato in Italia, di cui una società detenga la disponibilità (a prescindere dalle concrete modalità di gestione) può configurare una sede fissa di affari nel caso in cui essa venga utilizzata (anche in maniera non esclusiva) per l’esercizio dell’attività d’impresa.
Ciò premesso, l’Agenzia ricorda che la disciplina Ocse prevede che l’esercizio in una sede fissa di affari solo di attività aventi carattere esclusivamente preparatorio e ausiliario ovvero di attività che non costituiscono di per sé una parte essenziale e significativa dell’attività dell’impresa esclude la configurabilità di una stabile organizzazione (e, quindi, di un soggetto produttore di reddito). Tale eccezione, peraltro, deve essere intesa in senso restrittivo e, pertanto, le attività ausiliari e preparatorie svolte nella sede fissa devono avere carattere “esclusivo”. In aderenza alla disciplina Ocse, inoltre, la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato in cui la società Beta ha la sede legale esclude dalla definizione generale di stabile organizzazione l’ipotesi in cui “si fa uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di merci appartenenti all’impresa”.
Alla luce delle precedenti considerazioni, l’Agenzia delle Entrate precisa che l’hub che la società Beta intende creare in Italia non configurerà una sua stabile organizzazione solo se, come sostenuto nell’istanza, nello stesso saranno depositati, esposti o consegnati esclusivamente prodotti di proprietà di Beta. Al contrario, ci si troverebbe al cospetto di una stabile organizzazione nel caso in cui Beta svolgesse anche attività di deposito, consegna ed esposizione di prodotti di proprietà di altre imprese.
In altri termini, e in una prospettiva di più ampio respiro, per poter escludere la configurabilità di un hub logistico quale stabile organizzazione, è necessario che nello stesso non vengano svolte attività diverse da quelle di “deposito, di esposizione o di consegna di merci”, quali, ad esempio, attività commerciale di raccolta ordini o di vendita di prodotti. Pertanto, al verificarsi delle suindicate condizioni, il centro logistico che il gruppo intende localizzare in Italia non si configurerà quale stabile organizzazione materiale di Beta ai fini delle imposte sui redditi.
L’Agenzia, inoltre, precisa che, nel caso di specie, potrà anche escludersi la configurabilità di una stabile organizzazione personale se, come dichiarato dagli investitori, nessun soggetto in Italia (diverso da un agente indipendente) avrà il potere di concludere contratti in nome di Beta o di vincolarla o rappresentarla di fronte a terzi.
L’Iva sulle operazioni connesse al piano d’investimento
Infine, l’Agenzia fornisce anche chiarimenti sul trattamento Iva relativo a una serie di operazioni di acquisto finalizzate alla successiva rivendita poste in essere dalla società consociata Beta. Tra i casi esaminati, quello degli acquisti intracomunitari e delle importazioni di prodotti finiti con introduzione in un deposito fiscale utilizzato ai fini Iva rispetto al quale, peraltro, a partire dal 1° aprile 2017, troverà applicazione la nuova disciplina dettata dal Dl 193/2016, che ha modificato l’articolo 50-bis del Dl 331/1993.
In chiusura, l’Agenzia precisa che il parere viene reso in relazione al piano di investimento come descritto nell’istanza di interpello e sulla base dei documenti presentati e degli elementi resi a seguito delle interlocuzioni, nel presupposto della loro veridicità e completezza, ed esplica i propri effetti nei confronti delle società del gruppo coinvolte nell’investimento finché restano invariate le circostanze di fatto e di diritto sulla base delle quali è stato reso.