revisione catastaleIn caso di compravendita, le norme esigono la distinzione tra gli immobili a uso abitativo e quelli strumentali, per poter applicare la giusta tassazione. La classe catastale è una certezza.

 

Se al momento della cessione, l’immobile oggetto di scambio risulta classificato in una determinata categoria catastale – nel caso in questione la D/2 (alberghi e pensioni, con fine di lucro) – le imposte ipocatastali vanno commisurate in base a tale classificazione. A nulla rileva la concreta intenzione dell’acquirente di cambiare la destinazione d’uso del fabbricato, da turistico-ricettiva a residenziale, testimoniata dalla presenza di un progetto e dai lasciapassare del Comune. È, in estrema sintesi, quanto statuito dalla Corte di cassazione, con la sentenza del 9 novembre 2016.

 

Il fatto

 

Tutto comincia con l’impugnazione di un avviso di liquidazione relativo al 2007 recapitato a una società che, in quell’anno, aveva comprato alcuni terreni e un ex albergo, applicando l’imposta di trascrizione in misura fissa perché, considerata la determinazione a trasformare il fabbricato in un’unità residenziale, aveva già ricevuto, da parte del Comune, le necessarie autorizzazioni per la ristrutturazione. L’ufficio, invece, chiedeva il pagamento delle imposte suppletive di trascrizione e catastali che, in caso di cessione di immobile strumentale, sono dovute nella misura proporzionale del 3% del valore del bene scambiato (articolo 1-bis della Tariffa allegata al Dlgs 347/1990 – “Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale”). L’Amministrazione, costituendosi in giudizio, spiegava che l’avviso era stato fondato sul vigente sistema normativo che esige la distinzione tra gli immobili a uso abitativo e quelli strumentali, con riferimento alla classificazione catastale dei fabbricati a prescindere dal loro effettivo utilizzo.

 

La diatriba, in entrambi i due gradi di merito, finiva a favore della parte contribuente. In particolare, la Ctr, nella sentenza impugnata dall’Agenzia per la cassazione, aveva fatto prevalere “l’elemento sostanziale rappresentato dall’esistenza di un progetto per la ristrutturazione del complesso alberghiero e la sua programmata trasformazione in un complesso abitativo (senza alcuna certezza sul buon esito della futura realizzazione)“, sull’altro elemento, quello veramente oggettivo e certo della effettiva classe catastale di appartenenza alla data di trasferimento del fabbricato.

 

La decisione

 

La Corte di legittimità, pur non essendosi mai espressa in simili circostanze, non ha avuto esitazioni nello statuire la fondatezza del ricorso dell’Amministrazione, per la chiarezza delle argomentazioni. In effetti, la questione inconfutabile era – come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate – che l’immobile, al momento della cessione, essendo un albergo, apparteneva alla categoria catastale D/2 e, per poter essere utilizzato come civile abitazione, aveva bisogno di una radicale trasformazione. Un cambiamento da realizzare attraverso una complessa operazione edilizia programmata, all’interno della quale i “lasciapassare” rilasciati dal Comune di Genova costituiscono soltanto un primo step, che non offre alcuna garanzia né sull’effettiva ultimazione dei lavori né sulla successiva “conquista” della nuova classificazione catastale.

 

Quindi, afferma la Cassazione, l’unica strada percorribile per individuare con sicurezza l’eventuale strumentalità del bene in argomento non poteva che essere la classe catastale di appartenenza all’atto di compravendita, cioè la D/2. Questo ha (ben) fatto l’ufficio.