Il ministro Pier Carlo Padoan è intervenuto oggi davanti all’assemblea della Camera dei Deputati per una informativa urgente sulla situazione del debito della Grecia.
Il ministro ha spiegato la posizione tenuta dall’Italia nel corso del difficile negoziato delle ultime settimane – in 14 giorni si sono svolte 7 riunioni dell’Eurogruppo (il consiglio dei ministri delle finanze dei 19 paesi aderenti all’Euro).
L’Italia ha sempre lavorato per un accordo inclusivo, che prevedesse l’erogazione dell’ultima tranche di aiuti finanziari alla Grecia alla luce di un programma di politica economica bilanciato e orientato alla crescita. L’uscita della Grecia dalla zona Euro o dall’Unione Europea non è mai stata presa in considerazione tra le opzioni di lavoro.
Il negoziato è proseguito fin quando le autorità greche non hanno deciso di interromperlo e di convocare un referendum su documenti che erano considerati bozze negoziali e non proposte formalizzate dai ministri delle finanze. Le voci di un ultimatum posto alle autorità greche sono destituite di fondamento.
La necessità di un approccio flessibile per conseguire la ripresa economica è stata riconosciuta dall’Eurogruppo fin dalla riunione del 20 febbraio, e i passi avanti compiuti nel corso del negoziato sono evidenti dal confronto tra la dichiarazione diffusa in quella data e le bozze negoziali rese pubbliche il 27 giugno.
Il Governo italiano continuerà a lavorare per una soluzione equilibrata, che comprenda un programma di rilancio dell’economia greca, alla quale mancano fiducia e credito e sulla quale pesano ostacoli strutturali e indebolimento dell’amministrazione.
Intanto, in Grecia, il referendum che spaventa l’Europa assume tutt’altra prospettiva rispetto a quella restituita dalle dichiarazioni di Angela Merkel o di Jean Claude Juncker.
Si è appena concluso un dibattito pubblico tra sostenitori del no e la gente del quartiere, uno dei tanti che si susseguono ogni sera nelle piazze della capitale ellenica, e si tratta di capire, per quanto è possibile, quale sia l’orientamento dei diretti interessati: sottomettersi alle misure europee che la maggioranza dei greci ha rigettato appena cinque mesi fa votando Syriza e gli altri partiti anti-austerità oppure far saltare il banco accettando di «navigare in acque sconosciute», per dirla con il presidente francese Francois Hollande, il leader politico europeo che pare aver deluso più ancora di Angela Merkel o Jean Claude Juncker?
Come andrà a finire domenica nessuno è in grado di affermarlo con sicurezza. Se dovesse farcela per la seconda volta in un anno, Tsipras ne uscirebbe da trionfatore nonostante i rischi di default incontrollato, i rating al ribasso di Moody’s e Standard&Poor’s e le minacce europee di abbandonare la Grecia al suo destino che rischierebbero di lasciare il tempo che trovano di fronte a un quadro radicalmente cambiato. Il leader greco sostiene, forse a ragione, che una vittoria del no gli darebbe più forza negoziale in Europa e alla paura contrappone un altro sostantivo: dignità. Il messaggio, un pizzico patriottico, è: non lasciamoci più calpestare.