Il compenso percepito va sottoposto a tassazione per assimilazione al reddito di lavoro dipendente, perché così espressamente previsto dalle norme fiscali (articolo 53, comma 1, Tuir).
La Corte di cassazione, con sentenza 18031 del 14 settembre 2016, statuisce che è legittimo l’assoggettamento a tassazione del “compenso percepito dai giudici di pace”, per assimilazione ai redditi di lavoro dipendente ex “art. 50, comma primo, lett. f), del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917”.
Evoluzione processuale della vicenda
La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi derivanti da erogazioni a titolo di pensione della cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e da compensi ricevuti quale giudice di pace per l’anno 2000. Avverso l’atto di accertamento, il contribuente proponeva ricorso prima davanti alla commissione tributaria provinciale, che lo respingeva, poi innanzi alla commissione tributaria regionale che confermava la correttezza dell’operato dell’ufficio.
La pronuncia: tassabilità del corrispettivo percepito dalla magistratura onoraria
La parte ricorrente, quindi, proponeva ricorso per cassazione sostenendo, tra i motivi di ricorso, la tesi della “non tassabilità” del corrispettivo percepito dal giudice di pace (figura istituita con l’articolo 1 della legge 374/1991) per l’espletamento della sua funzione, in ragione:
- del carattere di magistratura onoraria dell’attività svolta
- della natura indennitaria del corrispettivo.
La Corte suprema, investita della controversia, ha affermato che – in tema di Irpef – “il compenso percepito dai giudici di pace vada assoggettato a tassazione, considerato che l’art. 50, comma primo, lett. f), del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 assimila ai redditi di lavoro dipendente le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti a tutti coloro che comunque espletano un’attività comportante l’esercizio di pubbliche funzioni”. Pertanto, nel caso di specie, devono inoltre considerarsi irrilevanti le argomentazioni relative alla natura onoraria ed estranea al rapporto di lavoro dipendente dell’attività medesima e al carattere “indennitario”, in senso lato, dell’emolumento percepito, che non costituisce stipendio di un dipendente pubblico. Ci si trova, infatti, dinanzi a una disposizione che, elencando i redditi da ritenere, ai fini fiscali, “assimilati” a quelli di lavoro dipendente, presuppone proprio che si tratti di somme estranee al concetto di reddito di lavoro dipendente in senso stretto.
Allo stesso modo si era già espressa l’Amministrazione finanziaria, con la risoluzione 363/2007, per mezzo della quale aveva affermato che “l’art. 50, comma 1, lett. f) del TUIR, statuisce che l’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente si applica alle “indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti… dallo Stato… per l’esercizio di pubbliche funzioni, sempre che le prestazioni non siano rese da soggetti che esercitano un’arte o professione di cui all’art. 49, comma 1, (oggi art. 53) e non siano effettuate nell’esercizio di impresa commerciale” nonché ai “compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del tribunale di sorveglianza, ad esclusione di quelli che per legge devono essere riversati allo Stato””.
Il legislatore tributario ha inteso, in tal modo, disciplinare in maniera specifica i compensi percepiti dalle categorie di giudici onorari espressamente individuate nel richiamato articolo 50 (membri delle commissioni tributarie, giudici di pace, esperti di tribunale di sorveglianza), diverso da quello riservato alla generalità dei compensi corrisposti per l’esercizio di pubbliche funzioni. Tali compensi, infatti, devono essere considerati quali redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, ancorché le prestazioni siano rese da soggetti che esercitano un’arte o una professione di cui all’articolo 53, comma 1, del Tuir.
In conclusione, a giudizio della Corte suprema, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato come i compensi riscossi dai giudici di pace vadano assoggettati all’imposta sui redditi delle persone fisiche per espressa previsione dell’articolo 50, sopra più volte richiamato, a nulla rilevando il carattere di magistratura onoraria dell’attività svolta e la natura del corrispettivo.