Il TAR Lazio, con l’ordinanza n. 1027 del 20 gennaio scorso, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli obblighi di gestione associata delle funzioni fondamentali da parte dei piccoli Comuni, introdotti dalla cosiddetta “Legge Calderoli“.
Il principio messo in discussione è quello che impone a tutti i comuni sotto i 5mila abitanti (3mila per quelli montani) di gestire le loro funzioni fondamentali – dalla polizia locale all’urbanistica, dalla raccolta dei rifiuti ai servizi sociali, fino agli interventi di protezione civile – tramite “alleanze” che abbraccino almeno 10mila residenti.
Gli enti ricorrenti, unitamente all’A.S.M.E.L., sono Comuni campani con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti rispetto ai quali trova applicazione la disciplina, posta dall’art. 14, d. l. 31 maggio 2010, n. 78, come successivamente modificato, che, ai commi da 26 a 31 ha dettato le disposizioni “dirette ad assicurare il coordinamento della finanza pubblica e il contenimento delle spese per l’esercizio delle funzioni fondamentali dei comuni”, imponendo ai Comuni di dimensioni minori l’obbligo di esercizio associato delle funzioni fondamentali, come dalla legge individuate.
In Campania tali disposizioni hanno trovato attuazione con la l. r. 7 agosto 2014, n. 16 che, all’art. 1, commi 110 e 11, ha previsto che la “dimensione territoriale ottimale e omogenea per l’esercizio delle funzioni fondamentali in forma obbligatoriamente associata” coincida con i c.d. sistemi territoriali di sviluppo previsti, a fini urbanistici e di coesione territoriale, dalla legge regionale 13 ottobre 2008, n. 13, rinviando, per la restante disciplina, alle previsioni del d.l. n. 78 del 2010.
All’indomani della scadenza del termine di adempimento fissato dalla normativa statale alla data del 31 dicembre 2014, il Ministero dell’Interno ha emanato la circolare 12 gennaio 2015 recante “Esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante unioni o convenziono da parte dei comuni”, con la quale ha dettato una prima disciplina attuativa degli obblighi di legge, imponendo alle Prefetture di procedere alla ricognizione dello stato di attuazione della normativa e di diffidare i comuni inadempimenti, secondo specifiche tempistiche e modalità.
Il termine di scadenza, con l. 27 febbraio 2015, n. 11, è stato, differito al 31 dicembre 2015, per poi essere nuovamente differito, con d. l. 30 dicembre 2015, n. 210, convertito in l. 25 febbraio 2016, n. 21, al 31 dicembre 2016.
Con il presente ricorso i comuni e l’associazione ricorrenti agiscono, dunque, innanzi a questo giudice per l’annullamento della circolare ministeriale 12 gennaio 2015, deducendo che il gravato provvedimento sarebbe affetto da illegittimità derivata a causa dell’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa sulla cui base è stata adottata e per il conseguente accertamento negativo dell’obbligo di stipulare le convenzioni per l’esercizio in forma associata delle proprie funzioni fondamentali.
Gli enti ricorrenti ritengono sussistere il loro interesse a ricorrere nonostante l’intervenuta proroga del termine di scadenza, poiché la suddetta proroga non investe l’attualità dell’obbligo loro imposto, ma solo l’esercizio dei poteri governativi sostitutivi e di diffida.
In allegato il testo dell’Ordinanza.