La popolazione mondiale raggiungerà il suo picco di oltre 11 miliardi di persone alla fine del XXI secolo, per poi diminuire successivamente. Nello stesso arco di tempo la percentuale di persone con più di 65 anni crescerà gradualmente fino a raggiungere quasi il 40% degli abitanti del pianeta. Per la fine del secolo la popolazione dei 48 Paesi dell’area europea sarà già calata di oltre 90 milioni, passando dagli attuali 738 a 646 milioni, mentre quella dell’Africa continuerà a crescere fino a raggiungere quasi i quattro miliardi e 400 milioni di persone nel 2100. Di questo scenario, tracciato dalle proiezioni statistiche delle Nazioni Unite, dovranno tenere conto gli Stati nella programmazione delle politiche fiscali del futuro: sul piatto della bilancia le entrate tributarie e quelle contributive, l’invecchiamento della popolazione e i flussi migratori. Al tema è dedicato “Le conseguenze fiscali del declino della popolazione”, uno studio pubblicato recentemente dal Fondo monetario internazionale.
L’invecchiamento della popolazione, una sfida globale per il fisco – Da oggi all’anno 2100 la percentuale della popolazione con più di 65 anni di età crescerà dall’attuale 12% fino al 38%, con un conseguente balzo in avanti delle spese per il Welfare State: sanità, pensioni, istruzione e così via. Secondo il Fondo monetario internazionale tra oggi e il 2100 la spesa per pensioni e sanità aumenterà del nove per cento del prodotto interno lordo per i Paesi sviluppati e di 11 punti percentuali per i paesi meno sviluppati. Alla luce di queste proiezioni statistiche che – come sottolinea lo stesso documento – sono soggette a forti variazioni, si delineano conseguenze che, per il Fondo monetario internazionale, metteranno i conti pubblici in pericolo: “Tali aumenti di spesa– scrivono gli esperti del Fmi – potrebbero portare al formarsi di debiti pubblici insostenibili, potrebbero richiedere tagli netti in altri settori di spesa o grandi aumenti delle imposte, che farebbero da freno per la crescita dell’economia”.
Proiezioni demografiche: “Usare con cautela” – Il Fondo monetario internazionale sottolinea comunque che le proiezioni demografiche sono un “affare rischioso” e che bisogna prepararsi “a una transizione più veloce alla diminuzione della popolazione”. “Le nostre proiezioni fiscali – spiega il Fondo – fanno affidamento sullo scenario ‘medio’ descritto dalle Nazioni Unite e dovrebbero essere interpretate con cautela, perché in passato la fertilità e la mortalità sono declinate a un passo molto più veloce di quando previsto. I rischi fiscali associati con questa incertezza sono piuttosto massicci nel lungo periodo”.
Le migrazioni come fonte di nuove entrate – Nel 2015 il tema dei flussi migratori è al centro delle cronache politiche e sociali quotidiane e continuerà a essere rilevante e centrale per tutto il XXI secolo. Secondo lo studio targato Fmi, le migrazioni potranno incidere in maniera positiva sull’andamento dell’economia e quindi essere alla base di un incremento considerevole delle entrate nelle casse degli stati. Il Vecchio Continente, soggetto già da ora a un forte calo demografico e meta di flussi migratori non trascurabili, sarà probabilmente “protagonista” del fenomeno. “I giovani migranti – si legge nel documento – possono aumentare la dimensione della forza lavoro ampliando così la base imponibile. Tale impatto dipende […] dalla possibilità di riscuotere tasse da questa forza lavoro aggiuntiva”.