sentenza corte UEIl 25 ottobre scorso la Commissione europea ha presentato, nell’ambito di un nuovo pacchetto di riforme della tassazione delle società[1], una proposta di direttiva per la risoluzione delle controversie in materia di doppia imposizione nell’Unione europea. Accanto alla lotta contro l’evasione fiscale, l’erosione della base imponibile e la pianificazione fiscale aggressiva, da sempre elementi chiave a livello di politica fiscale dell’Unione europea, la Commissione ha così sottolineato, trattandosi di due facce della stessa moneta, la necessità di garantire che i sistemi fiscali siano efficienti, in modo da poter favorire la crescita economica e rafforzare la competitività del mercato europeo.

 

Già tra le cinque aree di intervento identificate nella Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio dello scorso 17 giugno 2015 (COM(2015)302), vi era quella che si propone di creare, all’interno del mercato UE, un contesto in grado di determinare una maggiore resilienza del settore societario, attraverso l’introduzione di misure volte a permettere la compensazione transfrontaliera delle perdite e, dall’altro, migliorando proprio i meccanismi di composizione delle controversie in materia di doppia imposizione.

 

La doppia imposizione rappresenta uno dei principali problemi che le imprese si trovano ad affrontare quando operano in realtà multinazionali, in quanto incide negativamente sugli investimenti transnazionali e determina distorsioni ed inefficienze economiche, con conseguenti elevati oneri amministrativi che danneggiano la competitività europea. La maggior parte degli Stati membri ha concluso trattati fiscali bilaterali per eliminare la doppia imposizione ed esistono apposite procedure per comporre le eventuali controversie – cosiddette MAP (Mutual Agreement Procedures) – disciplinate, nell’ambito delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito e sul patrimonio, dall’articolo 25 del modello Ocse e dal relativo commentario. Tutte le convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia recano tale clausola. Anche nell’ambito della Convenzione 90/436/CEE del 23 luglio 1990 relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili delle imprese associate, cosiddetta Convenzione arbitrale, sono previsti strumenti per comporre le controversie fra Stati membri – cosiddette MAP da arbitrato – ma limitatamente alle controversie in materia di prezzi di trasferimento e di attribuzione dei profitti alle stabili organizzazioni. In entrambi i casi (MAP da convenzione e MAP da arbitrato), si tratta di procedure lunghe, costose e che non sempre sfociano nella effettiva risoluzione della controversia.

 

La proposta di direttiva in esame traccia, dunque, la strada per migliorare gli strumenti già esistenti, al fine di rispondere più efficacemente alle esigenze delle imprese, alla luce di quanto emerso dall’analisi della loro applicazione in concreto. La proposta si inserisce nel sistema già tracciato nella Convenzione sull’arbitrato, di cui riprende lo schema con l’aggiunta di alcune soluzioni innovative, ma il suo ambito di applicazione intende coprire tutti i casi di doppia imposizione sui redditi delle imprese tassati, nell’ambito di transazioni transfrontaliere all’interno dell’Unione europea, in capo a chiunque sia assoggettato ad una delle imposte elencate nell’allegato 1 alla proposta medesima, incluse le stabili organizzazioni situate in uno Stato membro di un soggetto extra UE. La proposta di Direttiva non troverà applicazione, di converso, qualora il reddito o il patrimonio sia considerato esente sulla base delle disposizioni nazionali, o sia ivi assoggettato ad imposta con aliquota zero. A differenza della procedura amichevole aperta ai sensi di una Convenzione bilaterale, rispetto alla quale, come ben chiarito nella circolare 5 giungo 2012, n. 21/E, non sussiste in capo alle autorità competenti un obbligo di risultato tale da assicurare l’eliminazione della denunciata doppia imposizione, trattandosi esclusivamente di un obbligo di diligenza[2], la proposta di Direttiva in commento intende fornire uno strumento capace di addivenire ad una soluzione vincolante per gli Stati.

 

Più nel dettaglio, la procedura tracciata nella proposta prevede che il contribuente avrà tre anni dalla prima notificazione della misura che comporta la doppia imposizione per presentare, fornendo tutta la documentazione necessaria che è elencata a pena di inammissibilità, apposita istanza alle autorità competenti, le quali dovranno confermarne la ricezione entro un mese e avranno due mesi per richiedere un eventuale supplemento istruttorio (cosiddetto “Complaint stage”). In ogni caso, è fissato in sei mesi il termine per pronunciarsi, con un provvedimento espresso, sull’ammissibilità dell’istanza e sulla sussistenza di una ipotesi di doppia imposizione, informando della decisione il ricorrente e le autorità competenti dell’altro Stato. Da quel momento (più precisamente dall’ultima notificazione da parte autorità competente, essendo necessariamente coinvolti più Stati) decorreranno due anni, estensibili di ulteriori sei mesi solo su espressa richiesta accettata dal contribuente e dall’autorità competente dell’altro Stato, affinché gli Stati concludano un accordo per eliminare la doppia imposizione in questione (cosiddetto “MAP stage”).

 

Allo scopo di garantire l’efficacia della procedura, la proposta di Direttiva è costruita per far sì che qualora l’autorità competente di uno degli Stati membri coinvolti respinga l’istanza dichiarandola inammissibile o infondata o non si addivenga ad un accordo entro il termine espressamente previsto dalla direttiva, si apra una fase arbitrale (cosiddetto “Dispute resolution stage”) e la questione sia delegata ad una apposita commissione consultiva che dovrà dirimere il conflitto entro termini anch’essi prestabiliti, rilasciando un parere che diventerà vincolante qualora gli Stati non riescano comunque a raggiungere un accordo per l’eliminazione della doppia imposizione.

 

La decisione finale che permetterà di eliminare la doppia imposizione sarà trasmessa al contribuente, sarà vincolante e azionabile dallo stesso senza che rilevino eventuali termini interni, a patto che quest’ultimo rinunci ad agire in giudizio esperendo gli ordinari rimedi previsti dalle disposizioni domestiche.

 

L’articolo 5, paragrafo 3 della proposta contiene un’ulteriore importante novità rispetto alle MAP già esistenti, laddove garantisce un rimedio nel caso in cui le autorità competenti respingano l’istanza dichiarandola inammissibile o non riconoscano la sussistenza di una ipotesi di doppia imposizione. In tali casi, infatti, è espressamente previsto che il contribuente possa ricorrere al giudice nazionale avverso il diniego.

 

L’articolo 15 della proposta prevede, inoltre, che l’eventuale definitività, sulla base delle disposizioni interne, dell’atto che ha generato la doppia imposizione non impedirà il ricorso alla procedura di risoluzione della controversia introdotta dalla Direttiva. Naturalmente è previsto che gli Stati membri possano non accordare l’accesso alla procedura amichevole in caso di frode, dolo o colpa grave.

 

Infine, al fine di favorire la trasparenza, l’articolo 16 prevede l’obbligatorietà della pubblicazione delle decisioni finali rispetto alle quali, in assenza del consenso delle parti interessate alla pubblicazione integrale, sarà comunque pubblicata una massima.

 

 

 

[1] Le altre proposte riguardano la base imponibile comune (CCTB), la base imponibile comune consolidata (CCCTB) e le misure per il rafforzamento delle norme antiabuso esistenti al fine di contrastare i disallineamenti con i Paesi terzi.

[2] L’articolo 25 del Modello OCSE ha previsto, al riguardo, un nuovo paragrafo 5 che prevede, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, una fase arbitrale obbligatoria. Tuttavia, questa disposizione non è ancora stata adattata alle convenzioni bilaterali già ratificate, ma solo a quelle di più recente stipula.