Prosegue la ricerca dei 15 miliardi necessari per neutralizzare gli aumenti di Iva e accise. Per le altre misure fin qui annunciate servono all’incirca altri 8-10 miliardi, da trovare solo tra spending review, maggiori entrate e lotta all’evasione. Oltre gli 1,5-2 miliardi che dovrebbero essere impegnati per il ‘pacchetto’ previdenza.
Una manovra che viaggia tra i 20 e i 25 miliardi, solo per fermarsi agli annunci arrivati finora. E per la quale il governo avrà bisogno non solo del massimo di flessibilità che si riuscirà a spuntare a Bruxelles ma anche di risorse da reperire ‘in casa’. Nel mirino, come accade da qualche anno a questa parte, torna così la sanità, anche se il ministro Beatrice Lorenzin ripete, anche questa volta, che è pronta a difendere lo stanziamento di due miliardi aggiuntivi già indicato nel Def di aprile. Una battaglia, quella sul Fondo sanitario nazionale, che la titolare della Salute combatte fin dal suo primo anno da ministro (“pronta a battermi come una leonessa”, aveva detto già nel 2013, governo Letta), arrivando perlomeno a limitare i danni, come accaduto con l’ultima legge di Stabilità. Il comparto per quest’anno non ha subito un vero e proprio taglio ma un ‘minore aumento’ rispetto a quanto concordato con i governatori delle Regioni nel Patto per la Salute.
Lo stesso meccanismo potrebbe quindi scattare anche per il prossimo: al momento la ‘torta’ del Fondo è di 111 miliardi, che dovrebbero salire a 113 nel 2017. Una cifra “totalmente adeguata” per Lorenzin ma che, secondo diverse fonti, sarebbe invece più che a rischio. I più ottimisti prevedono infatti che solo un miliardo venga ‘sacrificato’ sull’altare dei conti pubblici, ma c’è anche chi teme che l’intero aumento possa essere cancellato. Il tema resta tra quelli delicati, anche se 2 miliardi farebbero comodo per la composizione della nuova legge di Bilancio. Se anche a Bruxelles si riuscisse a ottenere un altro mezzo punto di Pil di flessibilità (spingendo il rapporto deficit/Pil al 2,3-2,4% anche nel 2017) le risorse a disposizione non sarebbero comunque sufficienti a coprire tutte le misure sul tappeto. A pesare resta infatti l’eredità di 15 miliardi di aumenti di Iva e accise da evitare, neutralizzando le clausole di salvaguardia. Ma per le altre misure, almeno quelle fin qui annunciate, servono all’incirca altri 8-10 miliardi, complessi da trovare solo tra spending review (che si preannuncia, stando ai bene informati, piuttosto ‘blanda’), maggiori entrate (a partire dall’Iva) e lotta all’evasione.
Oltre gli 1,5-2 miliardi che dovrebbero essere impegnati per il ‘pacchetto’ previdenza – con le critiche che già fioccano sulla ‘quattordicesima’ che andrebbe, stando ai dati Inps, in 7 casi su 10 ai redditi più alti – ci sono infatti molte altre voci di ‘peso’. Si va dai 500 milioni per rinforzare il piano povertà chiesti dal ministro Poletti ai 2 miliardi che potrebbero servire per il pubblico impiego (anche se calcoli sindacali parlano di almeno 3,2 miliardi per un rinnovo triennale da 100 euro al mese). Anche il capitolo industria-produttività probabilmente avrà bisogno di uno stanziamento analogo, visto che il solo rinnovo del superammortamento, con un rafforzamento degli investimenti in digitale, si potrebbe portare via circa 1 miliardo, mentre in preparazione ci sono diverse altre misure, a partire dal credito d’imposta per ricerca e sviluppo (che potrebbe valere altri 500 milioni). E almeno 1 miliardo sarà necessario per gli sgravi per gli autonomi (dall’Iri che vale 7-800 milioni al taglio dei contributi, che vale circa 500 milioni).
Ancora da valutare anche un’ultima proroga degli sgravi per i neoassunti (il cui costo sarebbe comunque superiore al mezzo miliardo) e di quanto rafforzare la ‘dote’ per la detassazione dei premi di produttività (si ipotizzano almeno 300 milioni aggiuntivi). Tutte da verificare anche le risorse necessarie per ‘Casa Italia’. Il piano, ripete Matteo Renzi, punta a sfruttare i fondi che ci sono già e che vanno messi ‘a sistema’, ma con la legge di Bilancio ci sarà quantomeno da confermare gli attuali ‘super-bonus’ sull’edilizia, rafforzando l’attuale sconto del 50% sui lavori per la messa in sicurezza antisismica. Tra le ipotesi sul tavolo ci sarebbe anche quella di consentire ai Comuni in attivo di ‘liberare’ le risorse che ora non possono spendere per i vincoli di bilancio, a patto, però che vengano investite in interventi contro le calamità (dal rischio sismico al dissesto idrogeologico).