fermo amministrativoLa sentenza 5139/2016 della Cassazione, da un canto, ribadisce due principi già espressi dalla propria giurisprudenza vuoi sulla legittimazione delle Agenzie fiscali a emettere un atto di fermo amministrativo nei confronti dei contribuenti vuoi sul contenuto del cennato provvedimento cautelare previsto dall’articolo 69, comma 6, del regio decreto n. 2440/1923 e, d’altro canto, afferma la natura generale di tale regolamentazione rispetto a quella specifica dettata successivamente dal legislatore fiscale in alcuni ambiti normativi, quali quello sanzionatorio e quello Iva.

 

Principiando da tale ultimo aspetto, era stata eccepita l’inapplicabilità dell’articolo 69, comma 6, del Rd 2440/1923 (sulla contabilità di Stato) secondo cui, “Qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo”, in quanto contenente una regolamentazione ritenuta incompatibile con quelle poi previste dall’articolo 23 del Dlgs 472/1997 e dall’articolo 38-bis, comma 3, del decreto Iva.

 

La natura generale della disciplina del 1923 è ben giustificata in relazione alla speciale disciplina Iva citata (nella versione anteriore alle modifiche apportate dall’articolo 13, comma 1, del Dlgs 175/2014) per la presenza della specifica previsione di contestazioni penali per reati fiscali e in riferimento anche all’articolo 23 citato, ma nella sua versione anteriore alle modifiche apportate dal Dlgs 158/2015, in quanto quest’ultimo limitava la sospensione del pagamento di quanto spettante al contribuente solo quando a quest’ultimo gli sia stato notificato un “atto di contestazione o di irrogazione della sanzione”.

 

Infatti, il legislatore del Dlgs 158/2015 ha ampliato la sospensione anche in presenza di un “provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi”, col determinante effetto dell’applicabilità generale del successivo periodo del terzo comma, secondo cui la sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all’atto o alla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo e non più la previsione generale del passaggio in giudicato della pronuncia contenuta nell’articolo 69 del Rd del 1923.

 

Tale ultima modifica legislativa del 2015 ben potrebbe ammettere l’esistenza di una disciplina generale sul fermo amministrativo “fiscale” che escluderebbe il fermo amministrativo di cui al Rd del 1923 quand’esso risulti fondato su contestazioni di natura fiscale e dev’essere applicato soltanto “Nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria”.

 

Pertanto, non dovrebbe essere più attuale (in quanto la sentenza consegue alla pubblica udienza tenuta il 18 maggio 2015, ossia anteriormente alla modifica del Dlgs 158 del 24 settembre 2015) quanto indicato nella sentenza della Corte di legittimità in rassegna secondo cui la situazione soggettiva che legittima l’ordine di sospensione ex articolo 69 è espressamente definita come più generale “ragione di credito” sorta in capo ad amministrazione che può persino non essere la stessa che si trova in debito.

 

Sotto il profilo soggettivo, permane – come già statuito dalle sezioni unite nella sentenza 25983/2010, citata da questa in nota, cui adde 412/2013 – la legittimazione dell’Agenzia delle Entrate al fermo amministrativo di cui al Rd del 1923, per le questioni “non fiscali” di sua competenza, atteso che il comma 5-decies dell’articolo 3 del Dl 182/2005 – introdotto dalla relativa legge di conversione – ha aggiunto un ultimo comma all’articolo 69, disponendo che, per le amministrazioni dello Stato, devono intendersi le Agenzie da esso istituite, anche quando dotate di personalità giuridica e che alle predette amministrazioni devono intendersi equiparate l’Agenzia del demanio e l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in considerazione sia della natura delle funzioni svolte, di rilevanza statale e riferibili direttamente allo Stato, sia della qualità, relativamente all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, di rappresentante dello Stato italiano nei confronti della Commissione europea.

 

Infine, riguardo al contenuto dell’atto, la suprema Corte riafferma quanto indicato nella sentenza 23601/2011, secondo cui il provvedimento di fermo amministrativo deve essere sì motivato, ma si presenta come atto amministrativo a forma libera, ossia dal contenuto non precostituito e avente la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni cautelari adducibili dall’amministrazione nell’eventuale successiva fase contenziosa e di consentire al privato l’esercizio del diritto di difesa.

 

Infatti, viene ben evidenziato dai giudici di legittimità come tale sia un “provvedimento autoritativo con il quale l’amministrazione fa valere la propria pretesa cautelare, esternandone il titolo e le ragioni giustificative al solo fine di consentire al privato di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, nell’ambito della quale la P.A. è tenuta a passare dall’allegazione della propria pretesa alla prova del fumus vantato nei confronti del privato, fornendone la dimostrazione, in applicazione del principio dettato dall’art.2697 cod. civ.”.