La Corte di cassazione ha fornito alcune precisazioni in ordine alla nuova normativa in materia di falso in bilancio, anche alla luce della pronuncia a Sezioni Unite penali di Cassazione n. 22474 del 27 maggio 2016. La vicenda riguarda il fallimento della p.a. L’Aquila Calcio, dichiarato con sentenza del 28 luglio 2004.
Secondo quanto si legge in sentenza, Passarelli, nella sua qualità di amministratore della società L’Aquila Calcio, dal 12 aprile 1999 al 30 gennaio 2004, e Iannini, quale amministratore di fatto dal luglio 2003, distraevano somme di denaro, sia prelevandole direttamente (invero alcuni prelevamenti di cassa – si assume – non avevano giustificazione), sia emettendo sine titulo assegni della s.p.a., sia incassando assegni destinati alla società, ma non lasciando traccia del relativo importo nelle scritture contabili (utilizzando la somma per scopi estranei a quelli aziendali), sia appostando in bilancio falsi esborsi.
Gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli anche di bancarotta fraudolenta documentale, poiché tenevano le scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari, annotando crediti inesistenti, facendo risultare fittizie operazioni di anticipazioni soci, omettendo di annotare introiti ed altro. Invero, si legge nella sentenza di primo grado, confermata sul punto, in appello, che venivano sistematicamente annotati, a far tempo dal bilancio 2001, crediti inesistenti; altre false annotazioni venivano effettuate per mascherare singole condotte distrattive di prelevamento di somme di denaro.
La giurisprudenza della Suprema Corte, ed in particolare quella della Quinta Sezione penale, ha già avuto modo di chiarire che è certamente possibile ipotizzare la falsità di enunciati valutativi, sia in tema di falso ideologico ex 479 cod. pen., sia in tema di falsa perizia ex art. 373 cod. pen. Analoghe statuizioni, come si è visto, erano state enunciate anche in tema di false comunicazioni sociali, alla luce della normativa previgente (per tutte si può ricordare la già menzionata sentenza Patrucco del 2000, per la quale, nell’espressione «fatti non rispondenti al vero», vanno ricomprese anche «le stime di entità economiche non precisamente calcolabili».
Nella decisione n. 46689 depositata l’8 novembre 2016, la Suprema corte riconosce come la citata pronuncia a Sezioni unite abbia affermato un importante limite al giudizio di rilevanza del falso, quando si riferisce a “criteri normativamente fissati” o “criteri tecnici generalmente accettati”. Il criterio di riferimento era quello dettato dall’OIC 23, vigente all’epoca dei fatti contestati nel processo penale a carico di diversi amministratori di una società, criterio che rinviava ad un concetto definito “oscuro” dagli stessi giudici di merito, quale “la ragionevole certezza della pretesa reddituale maturata”.
Va dunque, per completezza, definito il concetto di “rilevanza” ai fini del falso in Esso, come evidenziato, tra le altre, dalla sentenza Giovagnoli, ha la sua riconoscibile origine nella normativa comunitaria (art. 2 punto 16 Direttiva UE 2013/34/UE, relativa ai bilanci di esercizio, ai bilanci consolidati ed alle relative relazioni e tipologie di imprese, recepito con d. lgs. 14 agosto 2015, n. 136), che definisce rilevante l’informazione «quando la sua omissione o errata indicazione potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese dagli utilizzatori, sulla base del bilancio dell’impresa».
Il requisito risulta aver sostituito il previgente parametro della idoneità «ad indurre in errore i destinatari» (oltre alle soglie percentuali di punibilità) in relazione alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società. Ma, a ben vedere, la idoneità ad indurre in errore, altro non è che il riflesso soggettivo della rilevanza della alterazione (conseguente a una condotta commissiva od omissiva) dei dati di bilancio e si risolve nella efficacia decettiva o fuorviante dell’informazione omessa o falsa.Il falso insomma deve essere tale da alterare in misura apprezzabile il quadro d’insieme e deve avere la capacità di influire sulle determinazioni dei soci, dei creditori o del pubblico. Da questo punto di vista, la rilevanza altro non è che la pericolosità conseguente alla falsificazione; il che suggella, se pur ce ne fosse bisogno, la natura, appunto di reato di pericolo (concreto) delle “nuove” false comunicazioni sociali.
In allegato il testo completo della Sentenza.