Per la Corte europea dei diritti dell’uomo è corretta l’imposta sull’esproprio? La decisione arriva alla fine di una controversia fra Stato italiano e due cittadini sardi.
La Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con la sentenza resa su ricorso 50821/2006, dell’8 febbraio scorso, hanno ritenuto del tutto accettabile (non proibitiva) la ritenuta fiscale quantificata nella misura del 20% del totale dell’indennità di esproprio accordata. Il prelievo impositivo è tale da non snaturare le finalità di detta indennità, tra l’altro parametrata al valore di mercato del bene.
I fatti in causa
All’inizio degli anni ‘90, un comune sardo approvò un progetto finalizzato alla costruzione di un complesso residenziale sul terreno di tre cittadini, di cui uno deceduto nel corso dei fatti. La vicenda si è sviluppata attraverso una procedura d’urgenza e sulla base di una dichiarazione di pubblica utilità, che ha autorizzato il comune a occupare i lotti e a espropriarli successivamente. Il decreto di espropriazione del terreno, dopo una serie di proroghe, fu emanato cinque anni dopo.
La vertenza amministrativa di primo grado
I proprietari lamentarono l’illegittimità dei decreti, e delle relative proroghe, davanti al Tar per la Sardegna. Il Collegio sardo decise favorevolmente ai cittadini, che si rivolsero nuovamente ai giudici amministrativi, chiedendo un risarcimento del danno per l’illegittima privazione della proprietà, pari al valore di mercato del bene alla data in cui il terreno era stato trasformato irreversibilmente, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria.
Tralasciando la problematica relativa all’occupazione acquisitiva – foriera di sterminate pagine di dottrina e di giurisprudenza in ambito amministrativo ma meno rilevante ai fiscali – il Tar concluse che i ricorrenti non fossero più proprietari del terreno, che era diventato di proprietà del comune sardo a seguito dell’ultimazione delle opere pubbliche ma, dato che il trasferimento della proprietà era illegittimo, i proprietari avevano diritto al risarcimento. Tuttavia, liquidò un importo sulla base – non del valore di mercato – ma dei criteri di cui all’articolo 5-bis del Dl 333/1992, come modificato dalla legge 662/1996.
La parola al Consiglio di Stato
Il massimo organo della giustizia amministrativa, investito della decisione su impulso dei ricorrenti, che ritenevano la quantificazione del valore effettuata dal Tar sardo illegittima, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della domanda dei ricorrenti.
Tuttavia, con una successiva pronuncia della Corte di cassazione a sezioni unite, adita al fine di decidere quale fosse il giudice munito di giurisdizione, se quello ordinario o quello amministrativo, decise per quest’ultimo. I ricorrenti riassunsero l’appello dinanzi al Consiglio di Stato, che confermò che essi erano stati privati del loro bene illegittimamente e ritenne che avessero diritto a un risarcimento corrispondente all’integrale valore venale del bene, compresi interessi e rivalutazione, oltre ad accordare loro una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.
Nel 2012, il Comune sardo versò ai ricorrenti le somme dovute loro per effetto della sentenza del Consiglio di Stato, sulle quali fu operata alla fonte una ritenuta d’imposta del 20%, ex articolo 11, comma 5 e 7 legge 413/1991. Gli enti eroganti, infatti, devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella percentuale richiamata dell’intera somma. È, comunque, facoltà del contribuente optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto dell’imposta finale dovuta.
Le doglianze avanti alla Cedu
I contribuenti ricorrevano alla Corte europea dei diritti dell’uomo ritenendo il risarcimento in concreto ottenuto né “appropriato” né “sufficiente”, a causa della tassazione imposta. Il prelievo fiscale, benché formalmente camuffato da imposta, costituiva, secondo i cittadini sardi, un espediente legislativo per ridurre del 20% le spese di acquisizione dei terreni per fini di pubblica utilità.
La risposta della Corte di Strasburgo
Ad avviso della Corte, un’ingerenza statuale, anche derivante da una misura finalizzata ad assicurare il pagamento delle imposte, deve pervenire a un “giusto equilibrio” tra le esigenze di interesse generale della collettività e il requisito di tutela dei diritti fondamentali della persona, richiedendosi un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e i fini perseguiti. La Cedu osserva, poi, che uno Stato contraente, non da ultimo quando formula e attua politiche in materia fiscale, gode di un ampio margine di apprezzamento: difatti, spetta principalmente alle autorità nazionali decidere il tipo di imposte o di contributi che intendono imporre, in quanto le decisioni in materia tributaria comportano usualmente la valutazione di questioni politiche, economiche e sociali che la Convenzione lascia alla competenza dei singoli Stati.
La tassazione delle plusvalenze da esproprio
Entrando nel merito della fattispecie, la Corte osserva che l’elaborazione di norme fiscali sostanziali, che prescrivono di tassare le plusvalenze derivanti dall’esproprio di beni, rientra ampiamente nell’ambito del giudizio discrezionale del legislatore italiano. In particolare, le scelte in ordine alla tipologia e all’ammontare della tassazione da imporre, ma anche la connessa questione della determinazione del reddito imponibile, rientrano nelle questioni che il legislatore interno può certamente valutare e decidere con cognizione di causa, così come scegliere lo strumento concreto di attuazione, ovvero la detrazione alla fonte, con facoltà per il contribuente di optare per la tassazione ordinaria.
Ciò premesso, la Corte ritiene che la ritenuta fiscale applicata nel caso di specie, pari al 20% del totale dell’indennità di esproprio accordata, non possa essere considerata, dal punto di vista quantitativo, proibitiva.
Né si può affermare – assieme ai ricorrenti – che la detrazione di questa somma abbia avuto l’effetto di annullare o vanificare sostanzialmente l’indennità di esproprio liquidata dal Consiglio di Stato, al punto da conferire all’onere fiscale un carattere “confiscatorio”, tale da compromettere la sostanza stessa dei diritti di proprietà dei ricorrenti.
Rilevanti in tal senso, ai fini del giudizio della Corte, sono state anche le decisioni dei tribunali amministrativi nazionali, che hanno riconosciuto che la sottrazione del bene dei ricorrenti non fosse prevista dalla legge e hanno liquidato ai cittadini una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale.
Conclusioni
La Cedu arriva alla conclusione per cui, tenendo conto dell’ampio margine di apprezzamento di cui godono gli Stati in materia fiscale, il prelievo dell’imposta sull’indennità di esproprio liquidata ai ricorrenti non abbia sconvolto l’equilibrio che deve essere conseguito tra la tutela dei diritti dei ricorrenti stessi e l’interesse pubblico di assicurare il pagamento delle imposte, con deliberazione di manifesta infondatezza del ricorso dei cittadini sardi.