La direttiva n. 2016/1164/UE introduce cinque diverse misure per arginare il fenomeno da parte delle multinazionali. La direttiva n. 2016/1164/UE è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale UE del 19 luglio 2016 che contiene norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno. La direttiva fa parte del pacchetto fiscalità attraverso cui l’Unione europea prevede di adottare le raccomandazioni nel progetto BEPS dell’OCSE che sono state accolte con favore dal Consiglio UE nelle sue conclusioni dell’8 dicembre 2015, nelle quali viene sottolineata l’esigenza di trovare soluzioni comuni, seppur flessibili, a livello dell’UE per un’attuazione efficace, rapida e coordinata delle misure anti-BEPS.
Il percorso della Direttiva
L’originale proposta di direttiva, formulata dalla Commissione europea il 28 gennaio 2016, era stata sottoposta per l’approvazione alla riunione ECOFIN del 25 maggio 2016 senza tuttavia raggiungere il consenso unanime degli Stati membri necessario per l’approvazione. Una successiva proposta modificata di direttiva è stata approvata mediante una particolare procedura basata sul silenzio-consenso (silent procedure) e ratificata nel corso del consiglio ECOFIN del 27 giugno 2016.
Il contenuto della direttiva
La direttiva si prefigge di coordinare le risposte degli Stati membri nell’attuare i risultati delle 15 azioni dell’OCSE intese a contrastare il BEPS, stabilendo un livello minimo di protezione per il mercato interno in 5 specifiche macro aree.
Limite alla deducibilità degli interessi passivi
La prima misura anti-elusione è volta a contrastare lo spostamento dei profitti attraverso operazioni di indebitamento inter-company. A tal fine, l’articolo 4 della Direttiva introduce la c.d earning-stripping rule che impone agli Stati membri di dotarsi di una normativa (in Italia già prevista nell’articolo 96 del TUIR) che limiti la deducibilità degli interessi passivi ad un importo non superiore al 30% dell’EBITDA. La direttiva fa salve eventuali disposizione specifiche contro la thin capitalisation le quali, qualora già presenti nella legislazione domestica (situazione frequente in molti Paesi UE), non dovranno essere abrogate, ma potranno convivere con il limite stabilito dalla direttiva.
Tassazione in uscita (exit tax)
Al fine di scoraggiare le multinazionali dallo spostare i propri assets quali brevetti e proprietà intellettuali verso giurisdizioni con tassazione ridotta, l’art. 5 della Direttiva impone agli stati membri di dotarsi di una tassazione in uscita (in Italia già previsto dall’articolo 166 del TUIR) da calcolarsi sulla differenza tra valore normale degli assets al momento dell’uscita e il loro valore fiscale.
Clausola generale antiabuso
L’articolo 6 della direttiva introduce la c.d. General Anti-Abuse Rule (molto simile alla norma anti abuso del diritto di cui all’articolo 10 bis dello Statuto dei Contribuenti) secondo cui, ai fini del calcolo dell’imposta dovuta sulle società, gli Stati membri ignorano una costruzione o una serie di costruzioni che, essendo state poste in essere allo scopo principale di ottenere un vantaggio fiscale, sono in contrasto con l’oggetto o la finalità del diritto fiscale applicabile, non sono genuine avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti. Una costruzione o una serie di costruzioni sono considerate non genuine nella misura in cui non sono stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica.
Norme sulle società controllate estere
Un’altra delle macro-aree affrontate dalla direttiva UE anti-elusione riguarda la disciplina delle controlled foreign companies – CFC. Tale disciplina (in Italia prevista dall’articolo 167 del TUIR) è volta ad evitare che i gruppi societari possano trasferire ingenti quantità di utili verso società controllate situate in giurisdizioni a bassa fiscalità al fine di ridurre il reddito complessivo. L’articolo 7 della direttiva mira a far sì che i redditi di una società controllata estera (considerata tale in presenza di una partecipazione superiore al 50% nel capitale sociale, nei diritti di voto e nella partecipazione agli utili) soggetta a bassa tassazione siano riattribuiti alla società madre.
Disallineamenti da ibridi
Per evitare che le multinazionali possano trarre vantaggio dal disallineamento dei sistemi fiscali nazionali per ridurre il loro debito fiscale complessivo tramite per esempio doppie deduzioni o doppie non imposizioni, l’articolo 9 della direttiva prevede che nella misura in cui un disallineamento da ibridi determini una doppia deduzione, la deduzione si applica unicamente nello Stato membro in cui detto pagamento ha origine. Viceversa, nella misura in cui un disallineamento da ibridi determini una deduzione senza inclusione, lo Stato membro del contribuente nega la deduzione di detto pagamento.
Recepimento
Gli Stati membri hanno tempo fino al 31 dicembre 2018 per recepire all’interno dei propri ordinamenti le disposizioni della direttiva ad eccezione delle norme sull’exit tax per le quali avranno tempo fino al 31 dicembre 2019. Gli Stati membri che già hanno in vigore norme equivalenti a quelle sui limiti sugli interessi passivi possono applicarle fino a quando l’OCSE non avrà raggiunto un accordo su una norma minima o comunque al più tardi fino all’1 gennaio 2024.