spesaDa un panel di 14 indicatori emerge che il recupero rispetto al 2007 sta avvenendo molto lentamente. Nonostante i buoni dati degli ultimi mesi, nel mercato del lavoro resta un saldo negativo di 500mila posti. In sofferenza i consumi di beni durevoli delle famiglie; va meglio per auto e credito al consumo. Lo stato di salute dell’economia italiana? È in via di miglioramento ma rimarrà gracile nei prossimi anni, con un ritorno ai livelli pre-crisi solo a metà degli anni 2020. Lo scrive nero su bianco il Fondo monetario internazionale nel suo ultimo bollettino medico. Mancano dunque una decina d’anni per poter dire di aver decisamente voltato pagina. Ma quanto siamo distanti dalla méta? Il Sole 24 Ore ha raccolto 14 indicatori per trovare una risposta alla vigilia della Relazione annuale della Banca d’Italia e dell’aggiornamento sul mercato del lavoro in arrivo dall’Istat.

 

Osservando i momenti più bui attraverso la lente delle famiglie il punto più basso è stato toccato, a seconda dell’indicatore considerato, tra il 2010 e il 2013. Poi, gradualmente e con tempi diversi, è iniziata la risalita, anche se resta ancora molto da fare, soprattutto sul fronte della domanda interna e delle attività produttive. Cartina di tornasole della ricchezza del Paese è il valore del Pil pro capite: oggi ammonta a 25.479 euro, un livello ben distante dai 28.699 del 2007, data a partire dalla quale è iniziata una progressiva discesa con il punto più basso toccato nel 2014 e con un divario record tra Nord (oltre 30mila euro per abitante) e Sud Italia (al di sotto dei 17mila). Tra l’area più ricca, la provincia autonoma di Bolzano, e la più povera, la Calabria, nel 2014 la distanza è stata di oltre 20mila euro.

 

Una frattura che si riflette anche sul mercato del lavoro: se dal 2007 al 2015 il totale di occupati è sceso di 430mila, il Sud ne ha persi ben 516mila, mentre il Settentrione appena 90mila e il Centro ne ha “guadagnati” 177mila. In generale, l’anno migliore è stato il 2008, quando gli occupati veleggiavano oltre i 23 milioni, quota destinata a scendere per effetto della crisi finanziaria fino al 2010. Dopo c’è stata una fase di ripresa “frenata”: la platea di lavoratori ha oscillato intorno ai 22,5 milioni, senza mai recuperare quanto perso prima. La “seconda crisi” ha ristretto poi ulteriormente le fila della forza lavoro: oggi, rispetto all’annus horribilis 2013 (22,2 milioni di occupati), la situazione è in leggera ripresa, anche per effetto degli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato degli ultimi anni. Ma il quadro resta a tinte fosche, soprattutto per i giovani, e per tornare ai livelli del 2008 all’appello manca mezzo milione di occupati.

 

La strada è in salita sul fronte dei consumi: la spesa media delle famiglie resta al di sotto dei valori pre-crisi e spicca il calo dei beni durevoli (elettrodomestici, mobili, auto) scesi da 89,7 miliardi del 2007 a 72,3, anche se rispetto al 2013 c’è stato un recupero del 9 per cento. A calare è stato anche il numero di auto immatricolate (-37% in otto anni), con un rimbalzo nel 2014 e 2015, e il consumo di benzina e di gasolio (-19%). Se invece il termometro per misurare il grado di ripresa è la casa, tradizionale bene rifugio per gli italiani, qualche timido segnale positivo non manca. Nel 2015 rispetto al 2007 le compravendite sono state circa la metà, ma rispetto al minimo del 2013 (403mila unità) la crescita è stata dell’11 per cento. Hanno giocato a favore il calo dei prezzi e le condizioni più vantaggiose dei mutui grazie ai tassi ai minimi storici.

 

Le erogazioni di prestiti ipotecari hanno già raggiunto i livelli pre-crisi. Lo scorso anno, secondo l’Abi, le banche hanno prestato alle famiglie 49,8 miliardi per comprare casa, superando i 47,4 miliardi del 2007. Bisogna però considerare che circa un terzo di questi mutui è stato rappresentato da surroghe, ovvero da contratti che hanno sostituito altri contratti a condizioni più vantaggiose (si veda «Il Sole 24 Ore» del 22 febbraio). Anche il credito al consumo, dopo la caduta dei primi anni di crisi, ha cambiato marcia dal 2014 in poi: nel 2015 sono stati concessi 52,2 miliardi di prestiti (rispetto ai 59,8 del2007) con i primi tre mesi del 2016 in crescita di oltre un quinto sullo stesso periodo del 2015, secondo Assofin. Non sempre, però, un miglioramento rispetto al periodo che ha preceduto gli anni bui è indizio di ripresa.

 

Prova ne è la fotografia scattata da Infocamere sui protesti: -64% lo scorso anno rispetto al 2007. La frenata dei “pagherò” scoperti sembra però riflettere, secondo l’Associazione delle Camere di commercio, «la persistente prudenza degli italiani nell’accettare ulteriori impegni di pagamento». Anche perché sul fronte degli arretrati di pagamento, tra bollette e rate di vario tipo nel 2015 l’importo medio che le società di recupero crediti devono rintracciare è il doppio rispetto al 2007. Qui la distanza dal periodo precedente la crisi anziché ridursi si amplia di anno in anno.